L'ANALISI
04 Dicembre 2023 - 14:12
CREMONA - Basterebbe la voce entusiasta di Francesca Mazza a rendere imperdibile Zio Vanja di Cechov, in scena domani (ore 20,30) al Ponchielli per la stagione di Prosa con claim «Dritto al cuore». Zio Vanja promette di andare dritto al cuore non solo degli attori, ma anche degli spettatori: «Lo spettacolo sta andando benissimo. Il pubblico si diverte, trova un Cechov che sollecita inaspettatamente la risata. Il regista Leonardo Lidi è riuscito a fare quello che l’autore voleva, ridere non dei personaggi, ma con i personaggi della nostra infelicità. Alla fine si esce dal teatro con una certa inquietudine, solo apparentemente resa più leggera dalla comicità. Un mix a suo modo micidiale che dà conto di come il teatro e i grandi autori sappiano scavare dentro di noi».
È un fiume in piena l’attrice cremonese Francesca Mazza che in Zio Vanja veste i panni della vecchia balia: «Come accadde in Casa di Bernarda Alba, Lidi riesce a togliere i personaggi dai cliché che spesso li caratterizzano. La mia balia, Marina è tutt’altro che tenera e paffuttella. Ho un ruolo meno impegnativo rispetto ad Arkadina nel Gabbiano, ma mi diverto tantissimo. È il bello di questo lavoro e del percorso che ci porterà a mettere in scena a giugno Il Giardino dei ciliegi. Ciò che da attrice mi appaga è l’ampio respiro del viaggio all’interno di Cechov, fatto con un cast di attori che è mutato per pochi elementi e con cui si è costruito passo passo il nostro pensiero su Cechov. Tutto ciò è merito della guida di Lidi, un regista che ama noi attori, essendo egli stesso un attore, ma che soprattutto ha lavorato nel rispetto della scrittura cechoviana che ha proprio l’attore al suo centro».
«Anche in ruoli apparentemente minori la definizione del personaggio è tale e così perfetta che dà dignità ad ogni battuta e a chi la interpreta. Questo è potente in Vanja come nel Gabbiano e offre a noi un’occasione per riflettere sul nostro stare in scena, metterci in gioco, non avendo altri appigli se non noi stessi. Nel Gabbiano abbiamo dovuto gestire uno spazio vuoto, in Vanja il regista ci ha costretti in uno spazio delimitato da una parete di legno, siamo come schiacciati da questo spazio, portati a muoverci come se fossimo al muro. Al tempo stesso dietro quella parete accade qualcosa. Gli oggetti sono pochi: dei fiori e una pistola. Ma Cechov c’è tutto».
Dal Gabbiano a Zio Vanja senza soluzione di continuità e con un unico obiettivo: leggere attraverso il drammaturgo russo il nostro presente, in una cavalcata dall’epoca di Cechov ai nostri giorni. Ed in merito è il regista Lidi a spiegare l’operazione Cechov che si concluderà appunto con la messinscena del Giardino dei ciliegi: «Affrontando la trilogia cechoviana ho voluto fare un atto politico dopo lo stop pandemico. È per me un modo per riflettere sul teatro, sugli attori, attraverso le parole di Cechov e al tempo stesso cercare nell’opera del drammaturgo russo il riflesso del nostro essere nel mondo – spiega -. Nel Gabbiano l’attenzione era concentrata sul dialogo, sulla forma con gli attori, in abiti coevi all’epoca in cui visse lo scrittore, intenti a cercare la modalità adeguata per stare in scena. In Vanja i costumi fanno fare un balzo nel tempo: sono costumi che si rifanno agli anni Sessanta del Novecento, sgargianti, ma al tempo stesso si ritrovano schiacciati contro una parete che non permette loro se non un movimento in orizzontale, ma dietro quella parete accade qualcosa che gli attori e noi sentiamo. In questo movimento nell’andare avanti e indietro si compie la vicenda di rimpianti e fallimenti di Vanja e di quella piccola comunità che deve far i conti con ciò che non è riuscita a essere o a fare. Se nel Gabbiano la parola chiave mi è parsa forma, in Zio Vanja a dominare è l’ininfluenza».
Sul termine ininfluenza Lidi declina il suo pensiero sul capolavoro cechoviano che vede confrontarsi una serie di figure a vario titolo insoddisfatte di loro stesse e del ruolo che giocano nelle relazioni sociali o affettive: «In scena sono Vanja che si ritrova ad amministrare il patrimonio del professore insoddisfatto del suo ruolo e della sua vita. Lo stesso professore Serebriakov percepisce la sua non influenza sui suoi studenti, la giovane moglie Elena è annoiata dalla vita in campagna, Sofia ama non corrisposta il medico Astrov, a sua volta innamorato della giovane Elena. È come se i personaggi fossero bloccati, oppressi dai rimpianti, dalle azioni mancate, da ciò che non sono e che non hanno fatto. In questo contesto di ininfluenza sulla vita di tutti si inserisce anche la riflessione sul nostro mestiere di teatranti. Tutto ciò che accade in scena riguarda il linguaggio del teatro, lo mette in discussione, lo riflette».
Eppure, assicura il regista, la lettura del suo Zio Vanja che va in una direzione contemporanea non tradisce il testo: «Le parole di Cechov ci sono tutte e leggendo su Zio Vanja ci sono riflessioni legate alla gestione della proprietà del professore, sul rispetto dei terreni e dell’ambiente che sembrano essere scritte oggi – prosegue Lidi -. Ciò che io e gli attori abbiamo fatto è leggere e cercare in Cechov il riflesso di una contemporaneità che il teatro porta inscena sempre, anche quando vorrebbe agire con fare archeologico». Ed immancabilmente Lidi non può non leggere Zio Vanja nel contesto più ampio del progetto Cechov «che ho voluto come riflessione sul teatro e le sue potenzialità, un teatro che può farcela e forse uscire dalla sua ininfluenza se dimostra di aver fiducia nella capacità di costruire pensiero, quei pensieri che Vanja si butta addosso».
Ciò che propone Zio Vanja di Lidi/Cechov è uno spettacolo leggero e denso di idee, ed è ancora la cremonese Francesca Mazza che osserva: «Bello tornare al Ponchielli e sapere che il teatro della mia città ha abbracciato il progetto Cechov di Lidi – afferma -. È questo un bel periodo, ricco di soddisfazione. Sono appena reduce dallo spettacolo La ferocia del romanzo di Nicola Lagioia, realizzato da Michele Altamura e Gabriele Paolocà della compagnia VicoQuartoMazzini a RomaEuropa, è stato un successo che porterò in tour nella seconda parte della stagione. Non mi posso proprio lamentare e poi la prospettiva è lavorare al Giardino dei ciliegi in questa immersione in Cechov che dà senso e mette in gioco il mio mestiere d’attrice, regalandomi un’occasione di approfondimento, studio e condivisione creativa che non è così frequente. Di questo non posso che essere grata a Leonardo Lidi e ai miei meravigliosi compagni di viaggio».
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