L'ANALISI
29 Ottobre 2023 - 09:00
Un momento dell’inaugurazione della casa museo di Mario Coppetti in via Chiara Novella
CREMONA - Il suo grembiule beige è appoggiato su una sedia e al tavolo ci sono una nota scritta a mano, i barattoli con le matite affilate da poco: «La morte non è niente (...)/è come fossi nascosto nella stanza accanto», ha scritto Henry Scott Holland, e in effetti visitando la casa-studio di Mario Coppetti l’impressione è che lui sia lì, nascosto ma non troppo. Da ieri l’atelier in cui l’artista cremonese ha trascorso buona parte della sua lunghissima e appassionata vita è aperto al pubblico: a giorni, sul sito della fondazione sarà indicato come ci si potrà prenotare. Questa apertura, questa eredità di affetti e di valori civili è stata voluta dallo stesso artista e fatta propria dalla figlia Silvia Coppetti e dagli altri familiari per non disperdere il patrimonio, perché non solo le opere potessero ancora essere viste, ma anche la casa e il giardino, le stanze in cui deve continuare a palpitare la vita.
«Non voleva che le cose morissero con lui, ne abbiamo parlato in più occasioni», spiega Silvia, presidente della Fondazione intitolata al padre. Adriano Rigoli, presidente dell’Associazione nazionale Case della memoria, racconta come lo studio-abitazione abbia cominciato l’iter burocratico per entrare nella rete che riunisce «dalle Alpi alla Sicilia» case natali o d’elezione di persone che hanno dato lustro all’Italia. Qualcuna è modesta, altre sono sfarzose: in tutte si respira la presenza di chi ci ha vissuto, pensato, creato. Non è nelle tombe, non è nei cimiteri - dice Rigoli richiamandosi a Foscolo - che rivive lo spirito di pittori, intellettuali, scienziati e poeti. «Ho accettato fin da subito l’adesione di questa casa, quando sono stato contattato da Silvia - racconta Rigoli - perché ho capito l’importanza e la bellezza della figura di Coppetti e la sua adesione alla storia di Cremona. I primi passi sono stati fatti e le risposte sono state tutte positive. È in questa casa che sono nate le sue opere e i suoi pensieri ed è qui che lo possiamo ritrovare».
È Rudy Bona, storico dell’arte e curatore della mostra postuma dello scultore al Museo del Violino, a raccontare Coppetti: l’artista, l’educatore, l’amministratore pubblico, il convinto antifascista che sopportò l’esilio per sfuggire alla Cremona di Farinacci. Erede come scultore di quella scuola cremonese tardo-ottocentesca ancora poco studiata: «Ci vorrebbe un catalogo ragionato delle sue opere, se lo merita Coppetti e se lo merita Cremona», dice Bona. Capace di sublimare la bellezza e inseguito dagli incubi di una giovinezza vissuta in tempo di guerra. Come se la mitezza di certi volti femminili, certi nudi abbacinanti fossero il contraltare dello sgomento della Bimba cambogiana o del contorcimento del Fucilato.
Il sindaco Gianluca Galimberti fa riferimento alla Morte bianca (visibile in via Palestro nel cortile dell’Aselli), proprio in questi giorni che ci stanno assuefacendo alle guerre, allo strazio di bambini uccisi, mutilati. «Coppetti, così come Angelo Rescaglio che ci ha appena lasciato erano uniti dalla stessa passione per il loro ruolo di educatori - ricorda Galimberti - ed è questa l’eredità che ci hanno lasciato. Non abbiamo il potere dei ‘grandi’ del mondo, ma ognuno di noi deve cercare di spezzare la catena dell’odio che ci circonda. È l’eredità che ci hanno lasciato ed è una responsabilità che ci dobbiamo assumere nei confronti di quei bambini palestinesi, israeliani e ucraini».
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