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DOPO L'8 SETTEMBRE 1943

Lettere da Cefalonia e Corfù: «Tu Amore, custodisci tutto ciò che fu mio»

Testimonianze, documenti e scritti dei soldati cremonesi prima e dopo il massacro della Divisione Acqui raccolti attraverso la ricerca storica di Giovanni Scotti

Felice Staboli

Email:

fstaboli@laprovinciacr.it

09 Settembre 2023 - 05:20

Lettere da Cefalonia e Corfù: «Tu Amore, custodisci tutto ciò che fu mio»

CREMONA - Qual era lo stato d’animo dei soldati della Divisione Acqui a Cefalonia prima e dopo l’8 settembre ‘43? Che cosa scrivevano alle loro famiglie? E, soprattutto, che cosa pensavano i soldati cremonesi? Testimonianze e documentazioni sono state raccolte da Giovanni Scotti, studioso dei fatti che portarono alla strage di Cefalonia (oltre che ex sindaco di Sospiro e presidente della Fondazione). Anche nei fascicoli personali dei soldati cremonesi della Divisione Acqui — spiega Scotti — è possibile trovare una molteplicità di esempi di corrispondenza ai familiari. Riguardo al periodo di presenza al fronte c’erano degli schemi che i soldati dovevano rispettare.


Ne dà testimonianza il sergente Pino Brunoni di Sospiro che nel suo diario (pubblicato da Anda Cremona col titolo ‘La logora bandiera del 17°’) riporta le parole del comandante della sua compagnia al momento di partire per l’Albania: «Voglio che tutti i miei soldati scrivano a casa almeno due volte la settimana. Guai se qualcuno di voi non scrive a casa sovente. Non c’è bisogno di scrivere lunghe lettere, basta recapitare le cartoline in franchigia alla mamma perché ella possa vedere la firma del suo figlio. Perché se la mamma sta 15 giorni priva di notizie del figlio in guerra muore di crepacuore». C’erano, poi, le istruzioni su cosa scrivere: in primo luogo l’ordine era di dire che «state bene», anche se «state un poco male», poi che le situazioni belliche erano favorevoli e che si godeva del favore dei propri comandi.

Alcuni militari della Divisione Acqui nei giorni che seguirono l’8 settembre

Brunoni, che a casa aveva moglie, madre e sorella, non aveva certo bisogno di essere spinto a scrivere sue notizie, perché dal suo diario si capisce che per lui ogni momento di tregua dagli impegni bellici era utile per stendere una letterina. L’inizio della quale immancabilmente, così come in quella di tutti gli altri soldati, era «io sto bene e così spero di voi» e la conclusione che il morale era alto. Tale schema viene replicato anche quando dal suo diario si capisce che, invece, da giorni si combatteva nel fango, senza vettovagliamenti, al gelo e in condizioni di grande sofferenza e sfiducia. Tanto è vero che quando, uscito dalle trincee innevate e fangose dell’Albania, Brunoni viene trasferito nel presidio di Corfù, dove trova tranquillità, clima e paesaggi incantevoli, annota nel diario: «Bello per me scrivere a casa tante cose belle senza dire bugie».


Carlo Zilioli (che poi cadrà nel giugno del ’44 in Bosnia combattendo da partigiano contro i tedeschi) scrive alla famiglia che viveva nella cascina Pradazzo di Azzanello venti giorni prima dell’armistizio. «Per il frumento il padrone ve ne ha dato un quintale o 3 quintali? Fatemi sapere di preciso per il granoturco …». E non manca un interessamento sentimentale: «La Maria Stella, la figlia di Lena è già sposata?».

Giovanni Scotti


Tra le lettere dal fronte sono particolarmente commoventi le ultime scritte da Cefalonia nelle settimane precedenti la strage del settembre 1943 da due dei caduti cremonesi della Divisione Acqui. Il soldato Giuseppe Posté di Pozzaglio a metà luglio si dice molto contento perché gli hanno fatto sapere «che è tornata a casa dall’ospedale la mia mamma, che da tempo era via ammalata». Mentre il caporale Aldo Razzini di San Salvatore, un mese prima di essere passato per le armi dalle truppe tedesche, quasi si giustifica di non poter tornare a casa in permesso, in quanto non ne aveva diritto avendo «fatto la licenza che non è ancora due anni», per cui «arrivederci a fine guerra»; e si congeda raccomandando di salutare anche gli amici della cascina.


Infine si riporta per intero il testo di una lettera singolare. Scrisse nella notte del 22 settembre il sergente maggiore Ernesto Arié di Cremona al momento di partire con i suoi uomini per la battaglia finale di Cefalonia, quella della resa definitiva a Farsa. Non riuscì a spedire la lettera, ma sopravvisse ai combattimenti e fu fatto prigioniero dai tedeschi. Così lo scritto, rimasta nella tasche della divisa, dopo la guerra fu rinvenuto tra gli appunti dei suoi diari trovati dai familiari dopo la sua morte, negli anni Sessanta (pubblicati da Anda Cremona col titolo ‘Ne riparlerà la storia’).


Scrisse Arié alla moglie Bruna: «Mia dilettissima sposa, forse questo è il mio ultimo scritto che tu avrai. Parto con un pugno di miei fanti per una battaglia che non ha fine. Se cado sul campo di battaglia tu sii orgogliosa del tuo consorte, ti prego di non piangermi a lungo e sii forte. Ti supplico di far crescere con onore le mie tre piccole bimbe che tanto amai e amo più della mia vita. Tu mia Amata Bruna, perdonami se qualche volta ti ho fatto un poco soffrire. Dall’alto dei cieli veglierò su di Te, sulle mie piccole e sui miei cari. Addio, addio mia diletta Bruna. Un bacio forte alle mie piccole. Tu mio unico Amore, i miei più cari baci e un forte abbraccio, tuo Ernesto. Custodisci con gelosia tutto ciò che fu mio. Porgi un caro saluto a tutti i parenti. Addio. Addio».

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