L'ANALISI
11 Giugno 2023 - 09:14
Maria Grazia Calandrone e la giornalista del La Provincia Barbara Caffi
CREMONA - «Lucia era una donna che aveva il desiderio di essere viva in una società che impediva soprattutto alle donne di essere coerenti con i propri desideri». Maria Grazia Calandrone parla così della madre Lucia, madre mai conosciuta e oggi al centro di un libro che è valso alla scrittrice e poetessa milanese l’inclusione nella cinquina del Premio Strega 2023. Dove non mi hai portata. Mia madre, un caso di cronaca è stato presentato ieri pomeriggio a palazzo Guazzoni nell’ambito della terza giornata del PAF di fronte a una platea numerosissima. Prima di Calandrone si erano svolto gli incontri in sala Puerari con il cremonese Lorenzo Garozzo che ha presentato Hallelujah (Edizioni Caracò), storia di un uomo senza nome, in una provincia qualunque ma feroce quanto il suo protagonista; sempre in sala Puerari, Claudio Calia, uno tra i principali autori italiani di graphic journalism ha conversato con Francesco Barili sul libro Allargo le braccia e i muri cadono. Don Gallo e i suoi ragazzi (Feltrinelli Comics). Roma città della Parola (Giulio Einaudi Editore) il titolo del libro di Maurizio Bettini, insigne filologo e antropologo del mondo classico, imperniato sul ruolo dell’oralità all’interno della società romana.
Rispondendo alle domande di Barbara Caffi, giornalista del quotidiano La Provincia, Calandrone ha raccontato di essersi «talmente appassionata a questa storia che non mi bastava più quello che sapevo: la storia di Lucia era talmente scandalosa che anche il contesto nel quale era maturata meritava di essere studiato». In effetti la storia di Lucia è talmente forte che oggi esce dalla biografia familiare di Calandrone per diventare una narrazione dolorosa e utile per capire meglio il cammino delle donne nella società italiana dagli anni Sessanta a oggi. Quando Lucia e Giuseppe arrivano a Roma è l'estate del 1965. Hanno con sé la figlia di otto mesi, sono innamorati, ma non riescono a liberarsi dall’inquietudine che prova chi è braccato: Lucia è fuggita da un marito violento che era stata costretta a sposare e che la umiliava ogni giorno, e ha tentato di costruirsi una nuova vita proprio insieme a Giuseppe. Per la legge dell'epoca, però, la donna si è macchiata di gravi reati: relazione adulterina e abbandono del tetto coniugale. Prima di scivolare nelle acque del Tevere in circostanze misteriose, la coppia lascia la bambina su un prato di Villa Borghese, confidando nel fatto che qualcuno si prenderà cura di lei. Quella bambina nel 2021 si rimette sulle tracce di Lucia e Giuseppe, scrivendo un libro a cavallo fra biografia e indagine.
«Lucia non accettava le convenzioni imposte dalla società dell'epoca. Nonostante fosse molto religiosa non accettò il matrimonio, andandosene con un altro uomo e poi uccidendosi. Ha amato se stessa e la propria dignità fino all’ultimo», aggiunge. La seconda parte del libro è una sorta di indagine sulle ultime misteriose ore che la coppia passò a Roma. I giornali dell’epoca parlarono anche di un possibile omicidio per mano di Giuseppe: «Un’ ipotesi basata sulla data di spedizione di una lettera a l’Unità, nella quale i miei genitori spiegavano chi io fossi. Nel libro valuto tutte le ipotesi, compresa quella omicidiale, ma alla luce dei fatti mi sembra di poter dire che le cose non siano andate così». Se a Calandrone si parla di dolore, risponderà piuttosto con rabbia: «Ho vissuto rabbia più che dolore, scrivendo ero arrabbiata con quella società così piccola e meschina. Se noi oggi godiamo di una certa libertà lo dobbiamo a storie come quelle di Lucia. Mi è costato certamente dolore, ma anche rabbia e commozione».
Una storia che, nella sua stesura, necessariamente ha dovuto fare i conti con la duplice anima della scrittura di Calandrone, narratrice ma anche poetessa. «La poesia - ha detto - è musica fatta con le parole, e anche nella prosa è indispensabile far ‘suonare’ le frasi. La poesia mi impediva di raccontare una storia così lunga e complessa. Ogni tanto devo andare a capo per questioni ritmiche, per dare fiato a chi legge e per adoperare la lingua del mistero. Ho capito che forse la poesia è quella che meglio ci accompagna nelle zone di non conoscenza. È il linguaggio più simile al mistero». Nel botta e risposta con Caffi il discorso vira sulla recente e decisa irruzione del tema della genitorialità nella narrativa: «È vero - conferma la scrittrice -, oggi mi sembra che si stia cercando di ricucire una ferita, o di esporla. Credo che anche per effetto del Covid siamo stati costretti a ripensare i legami primari, e questo si è rispecchiato nello scrivere romanzi. Così è anche per il tema del trauma. Il tema familiare, dei legami, è un grande tema che, credo, derivi anche da questa situazione che tutti abbiamo attraversato».
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