L'ANALISI
24 Maggio 2023 - 08:42
CREMONA - Fresco fresco di compleanno, Lino Guanciale ha concesso ai suoi follower di Instagram una delle rare foto del figlio, un anno e mezzo, rigorosamente preso di spalle.
Auguri con qualche giorno di ritardo.
«Grazie, bello, bello, domenica sono riuscito a rimanere a casa con Pietro e Antonella (Liuzzi, la moglie ndr), è stata una favola. E quanto correre», dice ridendo.
Domani sarà al Ponchielli con il recital Non svegliate lo spettatore, un omaggio ad Ennio Flaiano. Il successo televisivo non l’ha fatta desistere dalla fatica del teatro?
«Direi di no, anzi ogni anno cerco di riservare una parte del mio tempo proprio per non perdere la buona abitudine di andare in scena. Sono nato in teatro, questo non me lo dimentico mai».
Da questa esigenza nasce Non svegliate lo spettatore?
«In questi mesi ho girato con tre spettacoli. Il Flaiano che porterò a Cremona, L’uomo più crudele del mondo di Davide Sacco che ho condiviso con Francesco Montanari ed Europeana di Patrik Ourednik. Il teatro non mi abbandona e io non ho alcuna intenzione di abbandonarlo».
Ma veniamo a Non svegliate lo spettatore, un titolo che prende spunto dalla raccolta di recensioni, Lo spettatore addormentato.
«Questo lavoro su Ennio Flaiano è nato durante il lockdown, in stretta sinergia con Davide Cavuti che con me ha curato la drammaturgia e soprattutto mi accompagna con la sua strepitosa fisarmonica. Ciò che proponiamo è un viaggio nella vita e nel pensiero di Flaiano, un autore che tanti dicono di conoscere, ma che in realtà pochi hanno letto veramente. Dalle recensioni che ai tempi dell’Accademia mi guidavano nella lettura dei testi a Diario Notturno, al bellissimo Tempo di uccidere, con qualche chicca shakespeariana alla maniera di Flaiano. Trovo che ancora oggi, soprattutto nelle riflessioni sull’Italia del benessere, Flaiano possa dirci molto e farlo senza i toni profetici di certo Pasolini, ma con una leggerezza che fece sì che dicesse che voleva essere ricordato come uno scrittore minore, satirico dell’Italia del benessere. Mi diverte molto fare questo lavoro in cui c’è leggerezza e pensiero, poesia e musica. Io mi diverto, spero che questo accada anche al pubblico».
Il suo è un ritorno al Ponchielli, dopo l’Arturo Ui con la regia di Claudio Longhi e un Umberto Orsini a fare da capocomico a una compagnia di poco più che ragazzi.
«Ma non è stata l’unica occasione. A Cremona ho tenuto alcuni laboratori nelle scuole, una decina di anni fa per un progetto che avrebbe dovuto portarci dal Po al cuore di Cremona in una sorta di Odissea molto festosa. Ricordo che ad un certo punto dovetti lasciare, avevo ricevuto una telefonata per un provino per il film di Woody Allen che stava per girare a Roma. Insomma Cremona mi ha portato bene».
E a proposito di Cremona, qualche sera fa al Filo è stata proiettato il film La Febbre di Alessandro D’Alatri, regista che con lei ha realizzato la prima serie del Commissario Ricciardi. Che ricordo ne ha?
«Mi ricordo il sorriso e la capacità di portare sul set allegria e leggerezza. Alessandro aveva uno straordinario dono: quello di far sentire a loro agio le persone che lavoravano con lui. Questo nella decisione di realizzare una serie sul Commissario Ricciardi ci ha aiutato, le attese erano alte, l’immaginario sul commissario inventato da Maurizio De Giovanni non facile da sintetizzare in una serie. D’Alatri è riuscito a portare sullo schermo un personaggio complesso e in chiaroscuro come Ricciardi, facendogli perdere peso».
Ricciardi e La porta rossa sono due serie a cui è molto affezionato e su cui lei ha investito molto, artisticamente parlando.
«Sono l’esito di quello che ho fatto prima. Ho avuto la possibilità di fare progetti sofisticati e per certo versi un po’ insoliti, grazie alla popolarità che sono riuscito ad ottenere con serie più leggere e popolari come Non dirlo al mio capo, L’allieva per citarne alcune. Credo che il percorso che ho fatto fino ad ora mi abbia portato ad avere la fortuna di poter rischiare, poter immaginare e condividere progetti, a volte anche ambiziosi. Credo che il pubblico che ti segue — è la convinzione di Guanciale — sappia leggere e capire quando ciò che fai nasce da passione e dalla volontà di metterti alla prova».
E questo da cosa lo capisce?
«Al di là degli ascolti, torno al mio amato teatro per rispondere alla domanda: dall’affetto che sera dopo sera il pubblico mi regala, da quanti mi attendono fuori dal camerino».
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