L'ANALISI
13 Marzo 2023 - 09:21
Gastone Breccia e una panoramica di Istanbul
CREMONA - Ci sono i tramonti sul Bosforo, c’è l’atmosfera drammatica, ma anche dolcemente poetica di un impero che si spegne, a causa della guerra, ma anche per un suo intrinseco esaurirsi al suo interno, c’è l’amore impossibile rincorso da un oscuro funzionario di cui rimane il diario scritto durante i giorni di assedio della città di Chrysopolis, la città d’oro. Tutto ciò è raccontato nel diario del protagonista, un documento arrivato nelle mani di Augustus Reidler, decano dell’Accademia di Storia di Chrysopolis, che lo restituisce al lettore, un po’ come l’autore dei Promessi sposi manzoniani fa col manoscritto secentesco. Sono queste le coordinate del romanzo ‘L’ultima città dell’impero’ di Gastone Breccia, docente di storia bizantina presso il Dipartimento di Beni Culturali e Musicologia dell’Università di Pavia e uno dei massimi esperti italiani di storia e strategia militare. Al suo attivo Breccia ha numerosi saggi, ma non ha saputo resistere alla tentazione della narrativa, di costruire un racconto, questa volta in parte di fantasia.
«L’ultima città dell’impero l’ho scritto due anni fa, rappresenta un po’ il sogno nel cassetto che ora si realizza – racconta Breccia -. Ho unito la mia passione per la storia con una vicenda di fantasia. La grande storia si intreccia con quella del protagonista Andreas Hoffmann, un tranquillo funzionario civile, travolto da un amore impossibile che lo fa entrare da protagonista negli accadimenti che porteranno Chrysopolis a essere l’ultima città di un impero al declino».
Fantasia sì, ma chiamata a esprimersi su solidi presupposti storici: e non potrebbe essere altrimenti per il romanzo d’esordio di uno storico come Breccia che infatti non esita – nelle note introduttive – a spiegare come accadimenti reali si intreccino con relazioni intime e amorose: «Inizialmente avevo pensato di ambientare il romanzo a Costantinopoli, la capitale dell’Impero d’Oriente, conquistata dai Turchi il 29 maggio 1453 dopo un assedio durato 58 giorni – spiega -. La ricostruzione della vicenda storica avrebbe finito però per diventare il soggetto dominante, mentre il mio scopo era trasportare il lettore in una realtà di rappresentare anche altre epoche, altre culture e orizzonti».
Da qui l’azzardo e l’aspetto più curioso del romanzo: lo storico Breccia lascia il passo al romanziere, ma chiedendogli verosimiglianza nella narrazione. ‘L’ultima città dell’impero’ fa un mix fra Costantinopoli nel suo ultimo e disperato sforzo di non cadere sotto il giogo dei Turchi e la Vienna del 1918: ed allora donne e uomini che vestono abiti del primo novecento nell’elegante capitale dell’impero austroungarico al suo tramonto, si trovano a muoversi nella geografia urbana di una città che in tutto e per tutto è l’antica Costantinopoli.
E poi «leggono l’unico quotidiano disponibile, vanno a feste dove si beve champagne e ballano il valzer alla Hofoper, il teatro dell’opera imperiale, mentre di fronte alle mura è accampato l’esercito del sultano Mehmet II – scrive l’autore -. D’altra parte, ho deciso invece di rispettare i tempi della Storia, con alcuni riferimenti a episodi accaduti durante l’assedio del 1453: la guerra di mine, l’apertura della breccia presso la porta di San romano o la morte di Costantino XI nel momento decisivo della lotta. Ma il vero imperatore aveva 48 anni e cadde con la spada in pugno combattendo corpo a corpo contro le truppe d’assalto ottomane; quello del romanzo è invece un uomo anziano, che fatica a camminare senza appoggiarsi al braccio di un attendente e va incontro al suo destino per compiere il proprio dovere». Viene in mente un po’, in questo caso, l’immagine di Carlo Magno che nella Chanson de Roland era presentato come un vecchio, mentre nella realtà era un giovane condottiero.
La scelta di intrecciare due grandi città simbolo di altrettanti imperi è un modo per raccontare e rendere ‘universale’ il messaggio che sottostà al lavoro di Gastone Breccia: raccontare il crollo di una civiltà, il suo declino e la sua successiva scomparsa, con quello che questo significò sia per l’Impero romano d’Oriente che per quello austroungarico. E in questo senso si deve leggere l’invito che Breccia fa al lettore, quando scrive: «Accettare l’invenzione di una città e di un mondo che sono al tempo stesso del XV e del XX secolo è uno sforzo che chiedo al lettore: penso possa valerne la pena, perché soltanto così la Chrysopolis del mio romanzo poteva raccogliere in sé tutte le nostre città, fornendo lo scenario ideale sul quale dispiegare i nostri lavori, le nostre debolezze, le nostre speranze e le nostre paure. Solo così poteva diventare il simbolo di una caduta che va al di là del suo significato più immediato e tangibile».
In questo senso ‘L’ultima città dell’impero’ non è solo un romanzo di guerra e d’amore, non è solo un viaggio in presa diretta e con una soggettiva continua, data dal punto di vista diaristico del protagonista. Ma è un libro che con la scusante della fiction chiede di riflettere sui grandi passaggi epocali, sulla caduta degli imperi, sulla loro dissoluzione e sulla lezione di quelle grandi compagini internazionali che seppero a loro modo diffondere culture e valori che nella realtà della storia hanno formato e costruito ciò che oggi noi siamo. Per un romanzo è questo un obiettivo raggiunto non da poco e compiuto sotto il segno della piacevolezza della lettura.
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