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UNA FIABA CIRCENSE PER IL FATF

La speranza non nuoce alla salute: «Siamo già pronti a diffonderla»

Apre le braccia alla ripartenza lo spettacolo firmato dal regista Chiarenza stasera (21) nel palazzo della stazione di Crema. «Hope» inaugura la 25ª edizione del festival dedicato al teatro e nato nel ricordo di un ragazzo che amava le Arti

Greta Mariani

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redazioneweb@laprovinciacr.it

02 Settembre 2022 - 05:00

La speranza non nuoce alla salute: «Siamo già pronti a diffonderla»

CREMA - «Durante il primo lockdown, in Belgio (dove vive, ndr) come in altri Paesi, si aveva la consuetudine di affacciarsi davanti a casa alle otto di sera e applaudire per un minuto gli operatori sanitari impegnati a combattere il Covid. Un pomeriggio ricordo di aver sentito alla radio un dottore affermare che al momento il migliore ed unico vaccino a disposizione era la speranza. Credo che questa parola abbia germogliato nel mio inconscio fino a regalarmi una visione: una notte ho sognato la parola Hope fiammeggiante. Ho sentito la necessità di mostrare questa immagine. Con l’aiuto dei miei figli abbiamo confezionato una piccola performance attorno all’immagine della mia visione e l’abbiamo realizzata davanti a casa. Non dimenticherò mai l’applauso di tutte quelle persone che, forzatamente distanti tra loro, affacciate a porte e finestre, si erano ritrovate per pochi istanti, nuovamente vicine. Non lo sapevamo ancora ma eravamo all’inizio di un percorso che ci avrebbe portato due anni dopo in tour con uno spettacolo completo ispirato a quel primo piccolo intervento di fuoco». Nelle emozionanti parole del regista Pietro Chiarenza c’è la genesi di Hope, lo spettacolo circense che questa sera, alle 21, va in scena nel rinnovato piazzale della Stazione di Crema a inaugurare la stagione numero 25 del Franco Agostino Teatro Festival-Fatf, nato per realizzare il sogno di un ragazzo che amava l’Arte.

Pietro Chiarenza

Qual è la finalità di Hope?
«Hope nasce semplicemente con l’obbiettivo di regalare un messaggio di speranza al mondo. È nato nel pieno della tempesta Covid19, eppure credo che il significato della parola attorno alla quale abbiamo creato la nostra fiaba drammaturgica trascenda la pandemia e si possa allargare alla lotta quotidiana contro qualunque oscurità che rappresenti una minaccia per la vita. Hope vorrebbe accendere speranza nel buio di ogni solitudine, nel silenzio assordante di ogni malattia, nella confusione in rovina di ogni guerra. È scientificamente provato che sperare non nuoccia alla salute, anzi ho la ferma convinzione che faccia bene al cuore».

Come ha pensato di coinvolgere Milo e Anders, i suoi figli?
«Ho pensato a loro perché la perdita di speranza che avvertivo nel mondo accerchiato e isolato minacciava soprattutto l’innocenza. Era in corsa una lotta impari e solo dei bambini potevano rappresentare in scena quella sproporzione. Solo dei bambini potevano accendere la speranza in fondo alla notte. Abbiamo iniziato a parlarne, a giocare attorno ad un’idea, abbiamo acceso un po’ di fiamme in giardino, ci siamo guardati negli occhi ed abbiamo capito che si poteva fare qualcosa di bello. Due anni dopo quei bambini sono dei ragazzini, ma il loro sorriso rimane lo stesso. Sono onorato e felice di condividere il palco con Anders e Milo e spero che qualunque cosa succeda nella loro e mia vita si portino dietro per sempre il ricordo indelebile di un momento unico e prezioso».

Qualche curiosità o aneddoto sullo spettacolo?
«La prima performance che abbiamo creato era coreografata su di un brano musicale di Goran Bregovic. Quando le televisione ci ha contattato per mandare in onda un piccolo servizio su Hope, ci siamo resi conto che non avevamo i diritti della musica. Tramite il direttore di un festival di musica internazionale siamo riusciti a metterci in contatto con l’agente di Bregovic chiedendo se data la natura del progetto ci poteva autorizzare ad usare questo specifico brano anche solo per una volta. Non ci restava che aspettare. Il cuore batteva forte quando abbiamo aperto la mail in risposta alla nostra: Goran ha detto sì!. Un altro ricordo incredibile è quando un teatro belga molto importante ci ha proposto nel secondo lockdown di realizzare la performance sul loro tetto e filmarla. Rammento l’emozione combustibile che la scritta Hope ardente, agitato dal vento, mi ha provocato. L’immagine finale del video prevedeva che un drone filmasse le lettere accese e poi salisse sempre più in alto mostrando in veduta aerea il messaggio di fuoco sospeso tra i tetti della città. Quando ho visto il filmato per la prima volta mi è mancato il fiato per la bellezza dell’immagine».

Il progetto Hope nasce per durare a lungo?
«Inizialmente lo pensavo circoscritto al tempo alla pandemia. Anzi non mi aspettavo che ci sarebbe stato un seguito alcuno a quel piccolo intervento di fuoco davanti a casa. Il video della performance ha iniziato a girare, il passaparola ha seminato curiosità, si sono create delle opportunità. La performance di pochi minuti è diventata un intervento di quasi mezz’ora che abbiamo replicato più volte in circostanze diverse con successo. Un importante festival di circo si è offerto di co-produrre uno spettacolo completo sul tema, il cast si è allargato, Michela, Reneè e Daniele ci hanno raggiunto contribuendo in maniera rilevante alla crescita del progetto. Nell’ottobre 2021 abbiamo debuttato con Hope nella sua forma attuale. Ora siamo in tour fino a febbraio e ho la sensazione che non finirà qui. Siamo pronti a diffondere speranza per gli anni a venire».

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