CALCIO
CREMONA: SCRIGNO DI SEGRETI
20 Ottobre 2021 - 10:19
La statua del Cristo deposto dopo il restauro
CREMONA - Le fonti documentarie fin qui reperite non danno informazioni sull’autore e gli anni di esecuzione, e neppure se la statua del Cristo deposto sia stata eseguita appositamente per la chiesa cremonese della Trinità, su commissione oppure no, e da chi. Opera del talento dell’uomo certamente, «un uomo illuminato dai segni della fede e della preghiera», ha detto don Aldo Manfredini nel suo intervento di saluto, ieri pomeriggio, nella chiesa fondata nel 1369 che si affaccia all’incrocio di tre vie — Vacchelli, XX Settembre e Speciano — in occasione della cerimonia di riconsegna alla comunità della statua lignea settecentesca attribuita a Giulio Sacchi dopo un lungo intervento di restauro. Sarà ricollocato nella ricca ancona dipinta e dorata nella cappella di san Giacomo, la seconda a destra, dove era in origine. Una chiesa rimasta «invisibile» per troppi anni la Trinità, custode di «segreti» che si ostina a nascondere sotto stati di intonaco — la navata in origine era infatti interamente affrescata — ma pronti a rivelarsi in tutta la loro sfolgorante bellezza, un poco alla volta. Le cappelle laterali custodiscono ancora tele e sculture lignee seicentesche e settecentesche come questo simulacro di Cristo deposto oggi restaurato grazie al contributo di Inner Wheel Cremona guidato dalla presidente Nadia Bosio Canevisio e dal Touring Club di Cremona e studiato con la consueta puntigliosa attenzione da Mariella Morandi. Alla storica dell’arte si deve l’attribuzione del Cristo deposto a Giulio Sacchi, allievo del più famoso Giacomo Bertesi e con il maestro frequentatore della scuola d’intaglio spagnola per quasi un ventennio, tra il 1696 e il 1713. Anno in cui di ritorno a Cremona mette mano all’opera sacra forte dell’esperienza di quell’inconfondibile gusto iberico.
A fronte di fonti documentarie inesistenti, è l’analisi stilistica e il confronto con altre sculture dello stesso periodo che aiutano la studiosa nell’attribuzione e nella datazione (probabilmente fra il 1723 e il 1725), in quella «accentuazione quasi espressionista della sofferenza a cui è stato sottoposto il povero corpo martoriato: le forme sono allungate e smagrite ma l’intaglio sottolinea muscoli, vene e tendini con un’evidenza drammatica, il viso è scavato, gli occhi tumefatti, la bocca semiaperta nell’abbandono della morte. Gli intagli sommari dei lineamenti del volto mirano a farne una maschera deformata dalla sofferenza e dal dolore». «Il Cristo deposto è un bene prezioso», ha concluso don Aldo, stringendo in un abbraccio ideale tutti coloro che si sono spesi per cancellare i pesanti segni di tempo e incuria.
Fumo, sporcizia e detriti avevano talmente annerito la superficie della statua lignea policroma da renderla quasi illeggibile. Il lavoro dello studio di restauro di Luciana Manara e Enrico Perni d’intesa con la Soprintendenza ha dato risultati sbalorditivi e di grande impatto, nonostante si sia deciso di non andare a fondo nel recupero della stesura del colore originale settecentesco a tempera grassa, e ci sia limitati, con alcune eccezioni, a mantenere quello successivo, più pallido, risalente al secolo successivo. «Una ridipintura non disturbante e storicizzata — puntualizza Perni - molto più rischioso sarebbe stato lavorare al recupero del colore originale che per altro riaffiora in alcuni punti nella sua drammatica brillantezza, vicina alla tradizione spagnola».
Dopo la pulitura del Cristo e del sudario di pioppo intagliato su cui è appoggiato, i due restauratori sono passati al ripristino di parte del perizoma, all’incollaggio di un pollice e all’integrazione di qualche lacuna. Tra le curiosità, il recupero di brandelli di un cartiglio a testimonianza dell’opera alla grande mostra di arte sacra del 1899 con l’attribuzione a Giacomo Bertesi. Oggi sappiamo che non è così.
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