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Danza, quando il rito è primordiale

Il Malandain Ballet Biarritz al Ponchielli con L’Oiseau de feu e Le Sacre du Printemps in omaggio a Stravinsky

Barbara Caffi

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bcaffi@laprovinciacr.it

03 Ottobre 2021 - 10:28

Danza, quando il rito è primordiale

CREMONA - Igor Stravinsky - nato nel 1882 e morto nell’aprile del 1971 - sosteneva che non fosse sufficiente ascoltare la musica, ma che si dovesse anche guardarla. La sua amicizia con Diaghilev, Nijinsky, Cocteau, Picasso e molti altri esponenti delle avanguardie primo-novecentesche, il suo genio e la capacità di osare hanno fatto il resto, rendendolo uno dei massimi scardinatori e al tempo stesso innovatori del teatro musicale del secolo scorso. E a cinquant’anni dalla morte continua a ispirare e influenzare anche la coreografia contemporanea, chiamata a confrontarsi con chi ha rovesciato ogni regola musicale e non solo.

È il caso, anche, del Malandain Ballet Biarritz che ieri sera al Ponchielli ha proposto L’Oiseau de feu, coreografato dallo stesso Thierry Malandain, e Le Sacre du Printemps, creato da Martin Harriague. A unire le due creazioni - accolte da applausi scroscianti - non solo la potenza assoluta della musica di Stravinsky, ma anche il rapporto tra l’uomo e la natura, un tema di stringente attualità.

Ispirate entrambe a due storie della tradizione russa, le due coreografie superano la contingenza della trama, recuperandone lo spirito primordiale. Ne L’Uccello di fuoco, il nodo centrale è il significato simbolico degli uccelli, il loro richiamo alla libertà e al loro farsi tramite tra terra e cielo, creature leggiadre incuranti della forza di gravità. Lo stile di Malandain è di chiara impronta neoclassica, pulito e di grande eleganza formale, debitore a molti maestri della danza del Novecento, a cominciare da Martha Graham. Malandain sa trasformare i gesti dei suoi danzatori in movenze da airone, segue un’estetica accademica rimessa a nuovo. Sono il sacro, il senso del rito e del mito a emergere, a sottolineare come l’uomo non riesca a non cercare l’Altro, o forse addirittura a inventarselo.

Guarda a un rito ancestrale anche la rilettura del Sacre da parte di Harriague, più fedele - almeno nella prima parte - all’originale di Nijinsky, di cui mantiene il carattere ossessivo, l’esplodere di pulsioni primordiali che necessitano di un capro espiatorio.

È un rito pagano, quello che va in scena, sottolineato da movimenti violenti, rapidi e ripetitivi. La primavera è rinascita, a costo però di un sacrificio, del sangue, della morte.

Bravissimi i danzatori della compagnia, che il pubblico di Cremona conosce bene e di cui ha apprezzato il ritorno al Ponchielli: Noé Ballot, Giuditta Bianchetti, Julie Bruneau, Raphaël Canet, Clémence Chevillotte, Mickaël Conte, Jeshua Costa, Frederik Deberdt, Loan Frantz, Irma Hoffren, Hugo Layer, Guillaume Lillo, Claire Lonchampt, Marta Otano Alonso, Alessia Peschiulli, Julen Rodriguez Flores, Alejandro Sánchez Bretones, Ismael Turel Yagüe, Yui Uwaha, Patricia Velazquez, Allegra Vianello e Laurine Viel. Per loro, applausi meritatissimi.

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