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Infobulimia, la riscossa della carta stampata

L’esplosione incontrollata di contenuti online genera smarrimento, alimenta manipolazioni e spinge soprattutto i più giovani a riscoprire i media tradizionali, soprattutto la carta stampata

Paolo Gualandris

Email:

pgualandris@laprovinciacr.it

16 Novembre 2025 - 05:30

Infobulimia, la riscossa della carta stampata

Infobulimia, ovvero fame inesauribile di informazioni che può creare confusione e frustrazione. L’enciclopedia Treccani, istituto che dal 1929 si preoccupa di registrare i neologismi della lingua italiana, non poteva restare indifferente al ‘nuovo mondo’ generato dalla rete e popolato da una selva oscura di fonti che sparano a raffica in ogni istante informazioni e notizie non verificabili. Un universo in cui vige la regola della totale indisciplina, in cui portatori di interessi non sempre trasparenti (per dirla con un eufemismo) agiscono indisturbati percorrendo le loro finalità. Che sono economiche e politiche.

La Treccani in questi giorni ha dunque registrato il neologismo «infobulimia», definito «la circolazione di una quantità sovrabbondante di informazioni che produce un sovraccarico cognitivo in chi le cerca e vi accede, con effetti di confusione e frustrazione».

Un fenomeno sempre più rilevante nel sistema comunicativo attuale, caratterizzato da flussi informativi continui e pervasivi i quali, anziché agevolare la comprensione, alimentano una fame inesauribile di informazioni che si traduce spesso in difficoltà di discernimento, disorientamento e sovraccarico mentale. In poche parole, il clima ideale per la manipolazione delle coscienze.

Complottisti, terrapiattisti, no vax e simili hanno avuto e hanno ancora mano libera. Altro che baluardo dell’informazione libera e indipendente come si è voluto far credere. Dopo un lungo periodo di esaltazione collettiva verso il nuovo mondo che promette informazione gratuita, però, in molti si stanno accorgendo di essere semplici pedine nelle mani del manipolatore di turno. Ed è in atto un lento, ma probabilmente inesorabile, recupero della consapevolezza della necessità di affidarsi ai media tradizionali, come la buona carta stampata.

Come sottolineano alla Treccani, la registrazione del neologismo e il suo crescente utilizzo riflettono la necessità di selezionare, interpretare e valutare criticamente le informazioni in un contesto dominato dall’abbondanza e dall’immediatezza. Un’esigenza che papa Francesco aveva già richiamato a inizio anno, in occasione del Giubileo della Comunicazione, quando, con la premessa «volevo soltanto dire una parola», segnalava l’urgenza di contrastare la bulimia informativa attraverso essenzialità, credibilità e autenticità, principi che delineano la responsabilità di chi comunica.

Come non essere d’accordo? È fonte di speranza, anche se in chiaroscuro, l’indagine Ipsos DoxaPolitica e comunicazione al tempo del fact-cheking’ realizzato per il Brand Journalism Festival andato a scena a Roma nei giorni scorsi.

Nel caos dell’ecosistema dell’informazione aumenta la tendenza dei cittadini a chiudersi nella propria bolla, con il 64 per cento degli intervistati che dichiara un calo di fiducia nei media rispetto a cinque anni fa e il 54 per cento che ritiene che le notizie siano spesso manipolate intenzionalmente.

Ma attenzione: la principale causa di tale scenario è indicata nei nuovi media: podcast, social network e influencer sono molto al di sotto del 50 per cento di credibilità.

«I social ingannano», ha detto don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria venerdì mattina a un’attenta platea di studenti cremonesi, esortandoli così: «Non fatevi ammaliare e ingannare dai social che vi fanno credere qualunque cosa. La realtà è diversa, molto diversa dalla rete».

I media tradizionali, al contrario, godono di fiducia in crescita, con i giornali cartacei che si piazzano al secondo posto (60 per cento di affidabilità) dopo la radio e prima delle televisioni, pubbliche o private che siano.

Un buon segnale arriva dai giovani della generazione Zeta (cioè fino a 28 anni di età), il cui indice di gradimento verso i giornali di carta è addirittura superiore alla media nazionale. Il dato più interessante è che gli under 35 sono più curiosi degli adulti e dedicano in media 1 ora e 50 minuti al giorno all’informazione, contro l’ora e 33 minuti della popolazione adulta.

A preoccupare è il fatto che i giovani si dichiarino più propensi a trincerarsi su posizioni identitarie rifuggendo dal confronto con visioni diverse dal loro punto di vista, privilegiando il confronto con chi ha opinioni simili. Questo vale anche nella scelta dei mezzi di informazione.

Un problema che sfiora solo la stampa locale: dovendo rappresentare il proprio territorio, tende a essere più inclusiva delle diverse opinioni creando un legame di fiducia tra cittadini, imprese e istituzioni. E rafforza il senso di comunità, il dialogo e la partecipazione.

Nel suo DNA c’è il compito di assicurare la trasparenza e la tempestività delle comunicazioni delle amministrazioni pubbliche, diventando nel contempo uno strumento di controllo sull’operato del potere locale e assumendo nei fatti una sorta di ruolo di difensore civico del cittadino.

Così come rappresenta il cono di luce necessario a valorizzare il ruolo delle imprese del territorio, aiutandole a raggiungere il pubblico locale. Molti pensano che social e intelligenza artificiale generativa possano surrogarne il ruolo.

Niente affatto. Come è stato sottolineato al Festival del Brand Journalism da Maurizio Decollanz di Ibm Italia, «il punto di forza dell’intelligenza artificiale generativa è che risponde sempre, ma proprio per questo è anche il suo più grande rischio: le risposte sono probabilistiche, stocastiche, cioè dovute al caso, aleatorie, quindi non sempre vere. Affidarle la nostra reputazione, il bene più prezioso che abbiamo, senza controllo e senso critico, è pericoloso».

Un rischio che con l’informazione garantita da giornalisti onesti e che ci mettono la faccia viene estremamente limitato: in un’epoca in cui la velocità premia il ‘copia-incolla’, il vero vantaggio competitivo sarà l’affidabilità di chi informa, non la quantità di contenuti prodotti.

Indro Montanelli, che visse gli albori della Rete, intuì che nel terzo millennio i giornalisti avrebbero avuto come padrone un lettore passivo, condizionato dal mercato e da algoritmi matematici che decidono per lui quali articoli somministrargli. Intuizione corretta. Che però, come abbiamo detto, grazie alle nuove generazioni oggi sembra cominciare a sgretolarsi.

La grande scommessa della carta stampata nazionale, ma soprattutto locale, è coltivare e assecondare quelle aperture di credito e farle fiorire. L’alternativa è la giungla dell’informazione, con tutti i rischi connessi per le coscienze.

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