L'ANALISI
10 Novembre 2025 - 05:30
Adelmo Mafezzoni (a destra) con Luciano Pavarotti e il trombonista Carlo Gelmini
CREMONA - Modesto e riservato, come lo sono i grandi. Quasi si schermisce quando dice di aver collaborato con i giganti della musica di tutti i tempi, da Luciano Pavarotti a Zubin Mehta, da Franco Battiato a Lucio Dalla. «Ho solo avuto la fortuna di essere in un posto dove passavano tutti questi personaggi». Quel ‘posto’ è la prestigiosa Orchestra Arturo Toscanini di Parma e ‘il fortunato’ è Adelmo Mafezzoni, 78 anni, cremonese, percussionista, a lungo insegnante della Scuola civica Monteverdi. La sua è una parabola, artistica e umana, affascinante eppure poco conosciuta.
Di anni ne aveva 8 quando ha cominciato a suonare, ma uno strumento completamente diverso. «Andavo nelle ultime balere rimaste, mi montavano un pochino scrivendo sui manifesti ‘il piccolo mago della fisarmonica’. Piccolo sì, mago no. Allora la fisarmonica era di moda, ma è finita in cantina quando sono arrivati i Beatles». E così il figlio di Francesco, ristoratore con la passione della chitarra, si è convertito alla batteria.

«Perché proprio la batteria? Non lo so. Forse perché, sbagliando, la consideravo più facile degli altri strumenti. Fatto sta che con il mio complesso di musica leggera, i Koala (ride, nda), formato da quattro elementi abbiamo iniziato a girare i locali». Tra un’esibizione e l’altra, si è iscritto, nel 1968, al Conservatorio di Parma dov’era stata istituita la nuova e moderna cattedra di percussioni. «Vale a dire timpani, tutti i tamburi immaginabili, triangolo, campanaccio, incudine più vibrafono, xilofono e marimba, di legno come lo xilofono ma più lunga».
Ha studiato e si è diplomato al Conservatorio senza però dimenticare la batteria. «A 20 anni mi sono sposato, a 23 avevo già due figli, a 27 mi sono chiesto: e il futuro? È in quel momento che ho lasciato perdere la musica leggera e mi sono guardato intorno dando la ma disponibilità per la classica. Prima mi ha chiamato l'Orchestra della RAI di Milano: dopo quella del Teatro Regio di Torino; poi ho vinto il concorso per la Filarmonica stabile di Parma. Avevo fatto il colpo grosso. Ho rifiutato gli altri posti e sono entrato alla Toscanini nel 1976 per restarci sino al 2001, avendo il piacere di suonare con i più grandi artisti del ‘900».

Un ricco, ricchissimo elenco di grandi nomi visti da vicino, aperto da Pavarotti. «È la star con cui ho lavorato di più, dal 1985 al ‘95, per le registrazioni di dischi, concerti, tournée. Memorabile il suo recital a Modena con Mirella Freni: hanno dato vita a duetti della Bohéme da accapponare la pelle. Pavarotti era attento alle persone intorno a lui, di solito i cantanti non hanno un rapporto diretto con gli orchestrali, si ritirano nel loro camerino. Lui no. A Mosca, al Palazzetto dello sport, si è fermato con noi sul palcoscenico: ‘Dai, ragazzi, scattiamo insieme una foto a turno’. Era rimasto il buon figlio del papà fornaio». Invece Placido Domingo era molto diverso.
«Con lui abbiamo fatto un Otello a Reggio Emilia. Se Pavarotti veniva a tutte le prove e cantava in voce, ossia non sussurrando per evitare di affaticarsi ma come se fosse la vera e propria rappresentazione, Domingo si è presentato solo alla prova generale sedendosi in platea». E l’altro dei Tre Tenori, José Carreras? «Una sera il nostro Aldo Protti era Scarpia nella Tosca. Carreras tra le quinte ha commentato: questo è un bravissimo Scarpia. Aveva ragione, ho apprezzato quelle parole».
A Parma era di casa un altro famoso tenore, Alfredo Kraus. «Grande, grandissimo, straordinario. Che professionista. Ha un record: una nota tenuta, in un finale d’aria nella Manon di Massenet, per 26 secondi». I cantanti più acclamati, nell’album dei ricordi di Mafezzoni, ma anche i migliori direttori d’orchestra. Come Zubin Metha. «Un fuoriclasse, senza molte parole riusciva a coinvolgere, bastava uno sguardo. E Gianandrea Gavazzeni, il colto. Eravamo alla RAI di Milano, stavo studiacchiando un paio d’ore prima del concerto quando entra Gavazzeni, si guarda intorno e dice: qui ho debuttato nel 1933. Allora abbiamo cominciato a conversare».

Tanta musica classica e lirica ma anche contemporanea. «Abbiamo girato il mondo: Tokio, New York, Parigi, Amsterdam, l’Olanda, la Spagna. La eseguivo volentieri perché mi portava a superare le difficoltà tecniche». Sorride di nuovo quando racconta di una Festa nazionale dell’Unità a Reggio Emilia. «Il Teatro Tenda era stracolmo per gli Inti Illimani mentre per noi del Gruppo Musica Insieme c'erano i compositori e qualcun altro».
La posizione delle percussioni è alle spalle dell’orchestra, quasi in disparte. «Può essere che ci si senta un po’ in ombra, in qualche caso sì, anche se siamo noi i più rumorosi. In passato capitava che i violinisti non tanto bravi ma capaci di leggere la musica si mettessero alle percussioni. Noi siamo stati un po’ dei pionieri, ora il livello si è alzato molto. I requisiti per essere un buon percussionista? Talento naturale e tanto studio».
Sempre con la Toscanini, ha collaborato con Battiato registrando ‘Genesi’, l’opera che contiene gli adattamenti in lingua moderna di alcuni testi antichi in sanscrito, persiano, greco e turco. «Con Battiato ci siamo scambiati opinioni, suggerimenti su come doveva essere il suono, il ritmo. Era una persona perbene, dai modi gentili, educati. È stato un momento piacevole perché ha scritto parti interessanti per le percussioni». Emozionante anche lo spettacolo con Dalla. «Con lui ci siamo esibiti ai Fori Imperiali, anche in quell’occasione ha dimostrato di essere un artista eccellente».
Dopo 25 anni, Mafezzoni ha terminato l’esperienza a Parma continuando però con la musica, stavolta dietro alla cattedra di teoria e solfeggio e percussioni della Civica Monteverdi, «nel periodo in cui quella scuola era un fiore all'occhiello della nostra città». Tra i suoi allievi di ieri c’è il figlio Davide, timpanista dell’Orchestra del Teatro lirico di Cagliari: «Ha ereditato da me la sua passione, sono orgoglioso di lui». Tra il piccolo gruppo di studenti di oggi uno psicologo dotato e una bambina dodicenne che promette bene.
«Complessivamente, ho insegnato per trent’anni: è il ruolo che mi ha gratificato di più, in questo modo riesco a trovare un feeling che fuori, per la strada, in mezzo alla gente fatico ad avere. C’è quasi una tradizione cremonese del mio strumento cominciata agli inizi del '900 con Ettore , che suonava i timpani al Ponchielli e, nei momenti liberi, con Toscanini; continuata con Bruno Bodini, il figlio, timpanista al Maggio musicale fiorentino dal 1936 al ‘69; poi ci siamo io e Davide e adesso due ragazzi straordinari, i fratelli Petrucci, uno più in gamba dell'altro». Accompagnando alla porta dell’accogliente villetta fuori città, il padrone di casa chiede di non essere ribattezzato ‘il percussionista di Pavarotti’. Lo fa nel suo stile, in punta di piedi sapendo che sarà difficile resistere alla tentazione.
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