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NELLE AULE DI GIUSTIZIA

«Ora sono libera»: la condanna del suo persecutore segna la rinascita di Sasha

Dopo mesi di violenze e paura, la giovane ritrova la serenità. Accanto a lei, in tribunale, le attiviste di Italy Needs Sex Education, impegnate a diffondere la cultura del rispetto e dell’educazione affettiva

Francesca Morandi

Email:

fmorandi@laprovinciacr.it

31 Ottobre 2025 - 18:21

«Ora sono libera»: la condanna del suo persecutore segna la rinascita di Sasha

CREMONA - «Speravo di potermi sentire libera e, finalmente, posso dire di essere libera da tutte le catene». Sul volto di Sasha, 24 anni, lunghi capelli biondi e occhi chiari, la tensione si stempera, quando la giudice legge la sentenza di condanna a 2 anni e 6 mesi dell’amico coetaneo che l’ha perseguitata, perché «era geloso». Le discussioni e le mani al collo, poi arrivavano le scuse e i fiori, di nuovo le botte e le minacce di morte. Anche con un coltello puntato alla gola. Lo stalker dovrà risarcire a Sasha (parte civile) i danni — 5mila euro la provvisionale — per tutta la sofferenza patita: le percosse, i traumi facciali, le crisi depressive, l’ansia e gli attacchi di panico. È in cura.

Lacrime di gioia, ieri. Lacrime di dolore, il 17 gennaio scorso, quando al processo Sasha aveva parlato per due lunghe ore. Una testimonianza sofferta, la sua, sulla relazione «malata» con l’amico conosciuto a fine maggio del 2022. All’epoca, la ragazza non aveva una casa. «Ho accettato la sua offerta: mi ha ospitato. Dormivamo insieme, ma non abbiamo mai avuto rapporti. Tutti, però, ci consideravano una coppia. Lui da subito si è mostrato geloso. Dopo tre mesi, in agosto, l’ho lasciato, mi sono trasferita in albergo. Non gli ho detto in quale. Non gli avevo anticipato nulla della mia decisione. Ho solo fatto le valigie e me ne sono andata, lui non l’ha presa bene. Lui da subito si è mostrato geloso».

«Ora sono libera da tutte le catene». Nel giorno della sentenza, in aula Sasha non è sola. In passato, prima del processo, il suo «inferno» lo aveva denunciato sui social. L’hanno conosciuta così le attiviste e gli attivisti della Italy needs sex education, la vivace community fisica e virtuale che riunisce 500 volontari da tutta Italia e arriva ogni settimana sulla mail e sulle bacheche di circa 20mila persone di ogni età. L’ha fondata la politologa e attivista Flavia Restivo con l’intento di promuovere l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole italiane, perché studentesse e studenti abbiano accesso a un’educazione che possa prepararli a vivere in un mondo libero da violenze e pregiudizi.

Andrea è arrivato da Firenze. Da Venezia, Luna Silvia Dragonieri, 8.264 follower. Luna è la quinta ed ultima cantante solista dei Matia Bazar (ha preso il posto di Silvia Mezzanotte), la famosa band musicale che si è formata a Genova nel 1975. Le è accanto Dario, 52enne arrivato da Codogno. «È l’unico uomo che ha raccolto il mio appello a venire oggi in Tribunale a Cremona», spiega Luna, che ai concerti parla della finalità del movimento in Rete. Dario voleva esserci, perché quello della violenza di genere, i femminicidi, i reati del codice rosso, «è un problema sociale e democratico: non guarda in faccia nessuno». E, allora, «dobbiamo cercare di unirci e capire che cosa si può fare per evitare queste cose tutti insieme. L’individuo, da solo, non lo può risolvere».

Più che la voce delle donne come quella potente di Luna, è la voce degli uomini che deve fare rumore. «Libera dalle catene», Sasha si scioglie in un abbraccio con Rosario Tripodi, il suo avvocato di Pavia – anche lui fa parte della community — e con il gruppo che l’ha sostenuta nella sua battaglia. All’esterno, la foto di Manjan con il cartello “Giustizia per Sasha”. Lo scatto è nelle storie Instagram di Luna Dragonieri.

sasha

«HA LA QUERELA FACILE»: LA FRASE CHE INDIGNA L'AULA

Al termine della requisitoria, il pm onorario aveva chiesto di condannare lo stalker di Sasha a 1 anno e 9 mesi. Ma è la premessa sulla vittima – «Ha la querela facile» — che ha fatto sobbalzare l’avvocato di parte civile Rosario Tripodi.

«Sembra strano — sottolinea il legale di Sasha —, perché da parte della pubblica accusa devi, in prima battuta, cercare di sottolineare gli aspetti a favore della figura, in questo caso della figura femminile, che patisce. E, allora, non puoi partire, dicendo: «Ha la querela facile». Perché se io subisco dieci violenze, non ne devo denunciare otto. Ne devo denunciare dieci. Perché questo aspetto non viene sottolineato? Questo poi fa mancare la fiducia nella giustizia. Sasha ha fatto benissimo a denunciare, anzi. È un esempio che dovrà essere seguito dalle persone che si trovano in queste condizioni. Questo è, davvero, il primo gradino da cui partire».

L’avvocato fa parte della community Italy needs sex education lanciata dall’attivista e politologa Flavia Restivo. «Noi siamo anche in una associazione — precisa il legale — perché si sta portando avanti una linea volta a tutelare questo tipo di situazioni che, purtroppo, oggi si ripetono, ma si ripetono in tutta Italia, dalla Sicilia a Bolzano. Sono situazioni che devono essere denunciate con il massimo sforzo».

In Tribunale c’è anche Maria, che fa parte di un collettivo di Milano che si occupa delle donne curde. E c’è Manjan, di Soresina, dell’Uarr, Unione degli atei e degli agnostici razionalisti. «Per questi casi — spiega Manjan — chiediamo che nelle scuole italiane venga proposta l’educazione sessuo-affettiva».

Perché, come aveva spiegato Restivo a margine di un flash mob organizzato davanti alla Camera dei deputati, «l’Italia è uno degli ultimi paesi in Europa a non prevederla, mentre ci sono paesi come la Svezia che ce l’hanno dal 1955. Siamo fortemente in ritardo. È importante per prevenire sì la violenza di genere, ma anche per creare un’inclusione sociale che nel nostro Paese purtroppo fatica ad esserci».

Da una recente ricerca promossa da Save the Children, emerge che appena uno studente su due (47%) ha ricevuto una qualsiasi forma di educazione sessuale a scuola, percentuale che scende a poco più di un terzo (37%) nel Sud e nelle isole, a fronte di un 94% che la riterrebbe utile e preziosa. Ma i dati più preoccupanti non sono quantitativi, semmai qualitativi e di percezione: un ragazzo su quattro ritiene il porno una rappresentazione realistica dell’atto sessuale, e nella maggior parte dei casi è l’unico esempio di sessualità con cui i giovani si confrontano.

Il 66% considera la norma che le ragazze abbiano esperienze sessuali dopo l’elevato consumo di alcool, mentre uno su cinque è convinto che baciare il proprio partner senza il suo consenso non sia violenza, come fotografa il rapporto Senza confine (2024) della Fondazione Libellula.

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