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LA STORIA

Dal carcere alla panificazione: la rinascita di un giovane minorenne

Un 17enne tunisino, protagonista di episodi di violenza giovanile, ottiene la messa alla prova e intraprende un percorso educativo in una cooperativa sociale, tra scuola e laboratori, con l’obiettivo di ricostruire la propria vita accanto alla famiglia

Francesca Morandi

Email:

fmorandi@laprovinciacr.it

26 Settembre 2025 - 16:43

Dal carcere alla panificazione: la rinascita di un giovane minorenne

Il tribunale di Cremona

CREMONA - «Buongiorno signor giudice, le riassumo brevemente il mio percorso. Sono stato in comunità, ma dopo pochi giorni sono scappato e per questo sono finito in carcere. Dopo l’esperienza del carcere sono tornato in comunità con una testa diversa. Il carcere non è stato bello e mi ha fatto capire che devo cambiare vita… Le mostrerò che sono cambiato. La ringrazio molto per avermi ascoltato».

La lettera è del 19 settembre scorso. Al giudice minorile, Daniela Martino, l’ha scritta un 17enne tunisino, uno dei minori non accompagnati arrivati tempo fa in Italia su un barcone. L’adolescente è uno dei bulli della baby gang arrestata all’alba del 22 novembre di un anno fa nella struttura di via del Giordano nella maxi operazione congiunta di carabinieri e polizia.


Oggi, il giudice minorile si è complimentato con lui per il percorso sin qua fatto e con il parere favorevole del pm, gli ha concesso la messa alla prova: frequenterà una scuola e seguirà un progetto nel laboratorio di panificazione di ‘Fratelli tutti’, la cooperativa sociale fondata nel 2021 da don Ettore Musa, cappellano del carcere di Cremona. 

Le ‘mani in pasta’, l’adolescente ha imparato a metterle in comunità e ora si è detto «felice» di fare «le ricette che ho imparato».

avv

I reati che ha commesso non si giustificano», puntualizza il suo avvocato Cristina Pugnoli. Da sedicenne, il giovane si è cacciato in una serie di guai, frequentando brutti giri. Al giudice ha detto: «Io ero drogato. Quando vedevo i miei amici violenti aggredire, io mi ci buttavo senza neanche sapere che cosa stesse succedendo».

«È una storia di riscatto». L’avvocato Pugnoli lo afferma di ritorno dall’udienza. Con sé ha una cartelletta verde. Contiene il carteggio della «storia del riscatto»: le relazioni positive sull’adolescente che vuole ricominciare daccapo. Per sé stesso e per riparare al «dolore» causato ai genitori.

È la storia di un giovane che «ha assolutamente compreso il disvalore delle sue azioni, non da subito, però, e si è assunto le sue responsabilità per le sue azioni».

Quando il 22 novembre lo hanno arrestato e portato in comunità, si atteggiava ancora da bullo. Dopo tre giorni, dalla comunità è scappato: è tornato nella struttura di via del Giordano, dai genitori nel frattempo arrivati a Cremona. Da qui, è stato portato al Beccaria di Milano. E qui, ha cominciato a «cambiare la testa».

«Al Beccaria è diventato il punto di riferimento degli altri ragazzini». L’avvocato Pugnoli racconta il caso di un giovanissimo che per aver combinato qualcosa, era stato messo in isolamento. «Era terrorizzato. Il mio assistito si è offerto volontario per non lasciarlo solo e si è fatto cinque giorni di isolamento».

Nei quattro mesi al Beccaria, «lui si è dato molto da fare, ad esempio dava una mano in cucina, sistemava, puliva senza che glielo chiedessero. Le relazioni sono state tutte positive». Il 15 aprile di quest’anno, il 17enne è stato riportato in comunità.

La lettera al giudice: «Il carcere mi ha fatto capire che devo cambiare vita. Per questo in comunità ho iniziato diversamente e mi sono impegnato fin dall’inizio. Difficoltà ne ho avute, ma le ho superate tutte, grazie agli educatori e all’assistente che mi hanno aiutato. All’inizio di settembre ho iniziato un percorso di panificazione che mi è stato molto utile, mi è piaciuto molto e mi servirà molto, nella vita. Anche in comunità faccio le ricette che ho imparato e mi rende felice fare qualcosa di buono... Ora mi sento pronto per tornare a casa con la mia famiglia e reiniziare una vita nuova. Vorrei continuare la messa alla prova. Da casa con la mia famiglia, sono pronto a seguire tutte le attività e dimostrare che sono cambiato. Sento il bisogno di sperimentare la vita fuori e stare vicino alla mia famiglia. Le mostrerò che sono cambiato. La ringrazio molto per avermi ascoltato».

Il 17enne è «pronto» per il giudice. Oggi ha lasciato la comunità e riabbracciato i suoi genitori. Non vede l’ora di cominciare nel laboratorio di Fratelli tutti. «Se a questi giovani dai gli strumenti, possono integrarsi nel territorio e cambiare — sottolinea l’avvocato —. Il mio assistito si è assunto la responsabilità di tutte le sue azioni, si è scusato, ha voluto personalmente ringraziare il giudice per la chance che gli è stata data; non era scontata».

Nei suoi molti interventi, Cristina Maggia, ex presidente del Tribunale per i minori di Brescia, l’ha sempre sottolineato: «Con i minori la legge ci impone di indagare chi è la ragazza o il ragazzo che ha commesso il reato, qual è la sua storia personale, da quale contesto familiare e socio-culturale proviene. La nostra non è una giustizia buonista, ma ci preme recuperare il minore autore di reato».

«È proprio così — rimarca l’avvocato Pugnoli —. Prima di giudicare, bisogna conoscere la storia. Parliamo di un minore arrivato in Italia non accompagnato. Non è il solo che assisto. Si tratta di ragazzi che non hanno le possibilità dei loro coetanei più fortunati. Deragliare è un attimo. Bisogna recuperarli in tempo. Ci si deve provare. E quando il risultato arriva, è una vittoria».

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