L'ANALISI
23 Settembre 2025 - 21:00
CREMONA - Oggi, nella casa dei suoi genitori, in un paese del Pavese, ha ritrovato la serenità. «Sto bene, ho anche un lavoro, i miei figli sono tranquilli, vanno a scuola». Ma c’è un prima. Dopo la nascita del bimbo, nell’autunno del 2014 (due anni dopo è arrivata la sorellina), e sino all’estate del 2021, durante i sette anni di convivenza, il convivente, padre dei suoi figli, un disoccupato che ‘sniffava’ cocaina, che in casa faceva quello che voleva, l’ha presa a sberle, calci, pugni. Una volta le ha lanciato una padella incandescente, un’altra le ha fatto l’occhio nero. L’ha minacciata di morte e di portarle via i figli. E l’ha umiliata («La vita è mia, tu devi occuparti dei bambini»), le ha sputato addosso. In quei sette anni, l’ha maltrattata, anche davanti al figlio.
Lei è italiana, lui egiziano di 47 anni. Partiamo dalla fine: la sentenza di condanna per l’uomo a 4 anni e 8 mesi e al risarcimento (una provvisionale) di 10mila euro alla vittima, parte civile con l’avvocato Valter Vernetti di Pavia. La sentenza è stata emessa oggi da tre giudici di Cremona. Non è la prima condanna per il papà egiziano. Il 21 febbraio 2024, una giudice di Pavia gli aveva inflitto 8 mesi per aver sottratto, un anno prima, i figli alla madre - una fuga in Spagna - con la sospensione della pena, a condizione che lui la risarcisse con 5mila euro (provvisionale). Lei, ad oggi, non ha visto nemmeno un centesimo. I giudici di Cremona oggi hanno revocato la sospensione condizionale. Sessanta giorni per il deposito della motivazione della sentenza.
«Calvario», la parola pronunciata dal pm Chiara Treballi, il sostituto procuratore che si occupa dei reati del Codice rosso. Per «il maltrattante» aveva chiesto 5 anni e 6 mesi di reclusione dopo aver ripercorso i «gravi» fatti «chirurgicamente»: è l’avverbio utilizzato dall’avvocato Vernetti. Il quale, nell’arringa, aveva esordito, richiamando la sentenza della Cassazione di maggio del 2020: ‘L’imputato non può invocare le differenze culturali e religiose per scriminare comportamenti incompatibili con il diritto italiano’. Un punto fermo.
Vernetti l’aveva richiamata, mettendo le mani avanti, ipotizzando che nella «differenza culturale» andasse a parare la difesa dell’imputato. Ma l’avvocato, Massimo Tabaglio, difensore di ufficio dell’egiziano che non ha mai visto né sentito, ha speso altri argomenti nel tentativo di farlo assolvere o, almeno, di fargli dare «il minimo della pena». Al processo, la vittima aveva confermato tutti gli episodi denunciati, «soffermandosi sul periodo finale della relazione. ‘Da marzo 2021 è iniziato un peggioramento del calvario’». ‘Peggioramento’ sta a significare che il calvario era cominciato prima: lo ha rimarcato il pm. E il «prima» lo ha ben raccontato la sorella della vittima, testimone, in più di una occasione, dei maltrattamenti.
«Mia sorella con mia madre si confidava poco, con mio padre pochissimo». Con lei «molto». I primi due anni, le sorelle non si vedevano spesso (abitavano in paesi lontani). «Lei mi aveva confidato che il rapporto era un po’ burrascoso, che lui era violento. Lui si è rivelato dopo, quando è nato il primo figlio. Usciva spesso di casa: usciva e tornava, anche di notte, senza dare spiegazioni». E, allora, erano discussioni. «Lui dormiva tutto il giorno, perché non aveva lavoro. I pochi lavori che trovava, li perdeva». Ci pensava la sorella a tirare su i figli con il reddito di cittadinanza e una pensione di invalidità. «Lui spendeva tutto. Si svegliava nel pomeriggio, usciva un quarto d’ora, rientrava. Usciva anche di notte. Faceva uso di cocaina. L’ho visto». L’ha visto quando un giorno è andata a trovare la sorella. «Ho deciso di seguirlo. Ho visto che si era avvicinato a una Golf grigia. Il conducente ha abbassato il finestrino, c’è stato uno scambio, l’altro è andato, lui è tornato a casa, ho visto che saliva al primo piano. Con la scusa di andare in bagno, sono salita anch’io. Ho visto che stava facendo uso di cocaina». Confidenze. «Lei mi diceva che litigavano quasi tutti i giorni. Vedevo i segni, i lividi, su mia sorella: sul viso, spalle, braccia, schiena, gambe. L’ho vista zoppicare. Mi diceva che era caduta in casa. Sì, incidenti domestici. Io le ho sempre detto che se avesse avuto qualcosa da dirmi, di dirmelo che l’aiutavo».
La sorella ha raccontato di quel giorno in cui era passata a salutarla. «Sono entrata, lei era in cucina, lui ha preso una padella sul fornello, una padella incandescente, e gliel’ha lanciata sul fondo schiena. Io l’ho fermato, ho litigato con lui. E lui: ‘Fatti i tuoi’. Ho preso mia sorella e l’ho portata dai miei genitori, quel giorno». Non era la prima volta: dai genitori la sorella si è rifugiata spesso con i suoi figli, in quegli anni di «calvario».
«Sono successe tante cose. Come la percuoteva? Spesso le tirava sberle e pugni, è capitato più volte che le sputasse addosso, è successo anche davanti a me. Le dava della poco di buono, della madre di m..., della prostituta. Diceva che le faceva schifo, perché mia sorella era sovrappeso. Lei ha poi fatto un intervento per perdere peso, è stata molto dai miei genitori, che l’hanno assistita anche durante la convalescenza. Lui, no. Quando è stata più magra, lei usciva per portare i bimbi al parco, lui le diceva che usciva ‘per fare la p...’. Mia sorella si era fermata dai miei per un mese, mi aveva chiesto di accompagnarla a casa a prendere i vestiti per i bimbi. Quando siamo arrivate, lui era sul divano con una donna, entrambi in mutande. Sul tavolo, c’era un piatto con la cocaina. Era a fine estate 2021. Da allora, mia sorella vive con i miei nipoti a casa dei nostri genitori».
Anno 2023, domenica 9 luglio «È arrivato a casa di mia madre, nel Pavese, alle 9.30 del mattino. Non aveva l’auto, lo ha accompagnato un connazionale. Ha preso i nostri figli, garantendo che li avrebbe riportati verso le 21. È sparito con i bambini. Il telefono non era raggiungibile». Il papà egiziano era già in fuga con i due figli, il maschietto e la femmina. Destinazione, Spagna. A Barcellona, per due mesi, ha fatto dormire i suoi bambini per strada come barboni. «I vestiti andavano a prenderli alla Caritas». È grazie a una donna italiana se i piccoli hanno riabbracciato la loro mamma.
«È stata una peripezia», racconta l’avvocato Valter Vernetti, che ieri, nel processo per maltrattamenti alla ex convivente, ha prodotto ai giudici di Cremona la sentenza del giudice di Pavia di condanna del papà a 8 mesi per sottrazione dei minori.
Il 15 luglio di due anni fa, attraverso i mass media, la mamma aveva lanciato un accorato appello: «I miei figli sono spariti con il padre, aiutatemi a ritrovarli». Aveva raccontato che domenica 9 luglio, verso le 22 il bambino aveva chiamato la nonna. «Sono al CremonaPo, nel centro commerciale dove c’è un cinema». Verso le 2.30 di notte, allarmata, la mamma si era messa in viaggio per il Cremonese. Aveva avvisato i carabinieri arrivati sotto casa dell’uomo con i vigili del fuoco. Il padre aveva lasciato - apposta - le luci accese. Erano scattate le ricerche. I carabinieri avevano geolocalizzato il telefonino dell’uomo a Bordighera, quasi al confine con la Francia. Ora, lui non aveva familiari in Francia e lei non l’aveva mai autorizzato a portare i figli all’estero.
All’epoca, il comandante provinciale dell’Arma dei carabinieri era Michele Ancangelo Cozzolino. «Ci ha aiutato moltissimo», sottolinea l’avvocato Vernetti.
Due mesi da incubo, poi la notizia rimbalzata nel Pavese via social. Com’è andata, due anni fa, l’ha raccontata ieri la zia dei bambini: «Una donna italiana ha visto in una strada di Barcellona i miei nipoti. Ha sentito che parlavano in italiano. A mio nipote ha chiesto come si chiamasse la loro mamma. Attraverso Facebook, questa signora ha rintracciato mia sorella. Siamo corse a Barcellona, siamo andate alla polizia spagnola». Alla fine, «li abbiamo riportati a casa. Mio nipote aveva le scarpe rotte. Mi ha detto che di notte, per strada, stringeva forte la sua sorellina, temeva che gliela portassero via. Barcellona è Barcellona, il pericolo c’era».
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