L'ANALISI
17 Settembre 2025 - 17:37
Il tribunale di Cremona
CREMONA - Alla finestra del bagno assistito, al secondo piano del Nucleo Alzheimer della Rsa Milanesi-Frosi, «l’inferriata è stata messa successivamente», cioè dopo il tragico evento: a fine ottobre 2021, un ospite di 70 anni si lanciò di sotto. Ricoverato all’ospedale Maggiore, spirò il 18 dicembre. La porta del bagno non era chiusa a chiave: la chiave non era nella toppa. Era dove veniva custodita da prassi: sopra una mensola del gabbiotto. E sempre «successivamente», nel Nucleo sono state messe le telecamere.
Una certezza: il 70enne «non voleva suicidarsi». La sua fu «una fuga istintiva». Voleva «uscire di lì», voleva tornare a casa, perché sentiva che quella non era casa sua. Ci aveva già provato altre volte, ad esempio mettendosi davanti alla porta del Nucleo a maneggiare la tastiera con il codice.
Lo hanno confermato i consulenti tecnici sia della Procura sia della difesa, sentiti oggi al processo per omicidio colposo, in cooperazione tra loro, nei confronti del direttore sanitario (difeso dall’avvocato e di Milano Papa Abdoulaye Mbodj) e di due operatrici socio assistenziali, una in pensione da due anni, l’altra tuttora in servizio (le difende l’avvocato milanese Fausto Teti). Gli imputati si sono difesi, ma prima di loro, hanno parlato i consulenti di parte. «Ex ante, era molto difficile pensare che potesse avvenire», ha detto l’esperto del pm.
Chi lavorava nel Nucleo Alzheimer, aveva il mazzo con tutte le chiavi dei locali. Poi c’era una chiave del bagno appesa - «un po’ nascosta» - sopra la mensola a circa un metro e settanta di altezza, nel gabbiotto. Quella chiave serviva ai manutentori, agli operai, alle donne delle pulizie. La finestra del bagno era l’unica, nel Nucleo Alzheimer, non allarmata: era senza serratura.
Maurizio della Pria, neurologo milanese, consulente messo in campo dalla difesa del direttore sanitario, ha parlato di «fuga istintiva non ragionata». Che cosa è successo nella mente del settantenne? «Qui si va a probabilità», ha premesso. È possibile che il pensionato abbia preso la chiave, aperto la porta del bagno, sia ritornato ad appenderla, sia di nuovo andato in bagno, abbia chiuso la porta (ovviamente senza mandata) e si sia buttato di sotto? È la dinamica descritta nel capo di imputazione. «Ipotesi assolutamente improbabile», secondo il neurologo.
È possibile che il 70enne abbia preso la chiave e aperto la porta, al di là di riportarla indietro? «Non è compatibile con lo stato clinico del paziente. Diciamo che è più improbabile che non. Mi sembra già un comportamento troppo organizzato, già il fatto di sapere che la chiave stava lì e che doveva aprire la porta». Per il consulente del pm, questa seconda ipotesi non sarebbe da scartare del tutto. Ora, chi lavora in quel Nucleo, di solito nel chiudere la porta, dà la mandata: lo fa in automatico. Chi potrebbe non averla chiusa? Qualche esterno? Le donne delle pulizie? Il giallo resta. Certo è che il direttore sanitario aveva dato disposizione a tutti di chiuderla. C’erano anche i cartelli affissi. Non solo. Lui conosceva il quadro clinico del pensionato, ricoverato il 4 ottobre nella struttura ( 120 ospiti in tutto: 20 nel Nucleo Alzheimer ). «Il 14 ottobre, l’ospite incontrò la figlia «e da lì cominciò a manifestare il desiderio di tornare a casa». Da lì «ho dato indicazioni di modificare il monitoraggio sull’ospite»; una sorveglianza stretta per quattro giorni. «Abbiamo fatto un monitoraggio più stretto, lo abbiamo visto più volte in un’ora», ha detto l’operatrice ora in pensione. Il giorno della tragedia, lei era in turno dalle 6 alle 13.30. «Di prassi, le donne delle pulizie entravano tutti i giorni nel bagno».
Dopo mezzogiorno, il pensionato pranzò con gli altri ospiti. La collega ha confermato che alle 12.15 il 70enne era nella sala da pranzo. «Dopo pranzo, io ho portato nel bagno il carrello con il sacchetto dell’umido. L’ho depositato, sono uscita e sono sicurissima di averla chiusa a chiave». La collega del turno successivo si accorse che il 70enne era sparito. «Ci siamo messi a cercarlo — ha ricordato l’imputata ora in pensione —. Non abbiamo controllato il bagno, perché la porta era chiusa, non abbiamo pensato che fosse lì». Lo trovarono giù, sotto la finestra aperta. La lavoratrice tuttora in servizio: «Quando ho visto da dov’era caduto, mi sono detta: ‘Come cavolo ha fatto che la porta era chiusa?’». La collega: «Quando sono risalita con il carabiniere, la chiave non era nella toppa. Era al suo posto». In aula si tornerà l’1 ottobre.
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