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LE STORIE DI GIGIO

La 'maestra della panchina': in dono le parole che danno voce al cuore

Anna Grassi, 64enne, prof di italiano volontaria prima per i migranti ora per bimbi cinesi

Gilberto Bazoli

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redazione@laprovinciacr.it

15 Settembre 2025 - 05:25

La 'maestra della panchina': in  dono le parole che danno voce  al cuore

(FotoLive/Francesco Sessa)

CREMONA - Una signora gentile con i capelli bianchi e tre cinesini su una panchina nei giardini di via Orti Romani. Cosa ci fanno? «Oggi la mia aula è questa». E lei, Anna Grassi, 64 anni, è la maestra d’eccezione. «Insegno l’italiano a questi bambini». È il suo modo di fare volontariato, esattamente come quando i suoi alunni erano degli adulti: gli immigrati dell’Odissea attraverso il deserto, la Libia e il Mediterraneo.

La professoressa abita in città ma è originaria di Torino dove, nel 1985, si è laureata in Lingue straniere. «Avevo capito già da allora che mi sarebbe piaciuto lavorare con l’italiano». Nel tempo, oltre ad aver corretto per le case editrici bozze di libri e «messo a posto romanzi», ha pubblicato tre manuali linguistici: uno, ponderoso, di italiano per i college americani; uno di spagnolo per le scuole britanniche; un altro, in tre volumi, di inglese per le nostre primarie. Dopo aver seguito a Cremona il marito Christian, ex dirigente d'azienda da poco in pensione, ed essersi trasferita a Milano, da qualche anno è tornata con lui sotto il Torrazzo. Considera ‘un colpo del destino’ ciò che l’aspettava su un’altra panchina, quella di piazza Roma. «Un giovane migrante si è seduto vicino a me, intimorito. Ci siamo conosciuti, era completamente analfabeta, non sapeva né leggere né scrivere, gli ho dato le prime lezioni di italiano in un bar. Dopo mi ha chiesto il permesso di chiamare un amico, dopo ancora un altro e così via. A quel punto mi sono detta: vado io alla Caritas. Sono stata arruolata dal 2015 al 2019».

Per tutto quel periodo, dal lunedì al venerdì mattina, è entrata in una classe composta di soli uomini il cui numero oscillava da 15 a 30, «a volte anche di più, dipendeva da un’altra cifra, quella degli arrivi. Dominavo questi marcantoni, questi giganti venuti quasi tutti dall’Africa sub sahariana, molti sopravvissuti ai naufragi. Ho focalizzato la mia attività sulle loro necessità primarie, non mi mettevo certo a declinare il verbo essere ma proponevo formulette per costruire un dialogo con gli altri e introducevo un lessico finalizzato alle loro mansioni comunicando parole come rastrello, scarpe anti scivolo, guanti, caschetto».

Le sue lezioni partivano dalla lingua, ma andavano oltre. «Ho spiegato loro come prendere le medicine, come fare il bucato, come far funzionare la lavatrice». È rimasta in contatto con alcuni di quegli allievi particolari, che ora sono in regola, hanno un lavoro e si sono integrati. «Quell’esperienza, totale e totalizzante, mi ha regalato tantissimo, sono stati anni bellissimi anche se emotivamente massacranti perché tornavo a casa con le storie di quelle persone. Una di loro mi ha detto indicandosi il petto: amica mia, tu mi dai le parole per esprimere ciò che ho qui nel cuore».

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Anna Grassi nel villaggio ivoriano dove è stata restaurata la scuola elementare

Con lo ‘studente zero’, come lo chiama sorridendo, è nato un legame profondo. «Sono stata con lui, nel 2022 in Costa d’Avorio. Con l’aiuto di mio marito, della mia famiglia e dei miei amici ho raccolto i fondi necessari per rimettere in ordine e sistemare il tetto sfondato di una scuola, materna e primaria, del villaggio di Domobly, in una zona sperduta ad otto ore di pullman da Abidjan. Ad aprile sono tornata, per la terza volta, in quel Paese, per verificare l’andamento del cantiere: ora la scuola, con i suoi 265 bambini, è pienamente operativa. Sono stata ricevuta dal capo del villaggio e dagli altri dignitari in abito da cerimonia come se fossi la regina d’Inghilterra».

Con il Covid ha smesso di andare alla Caritas. «Ma ho ancora energie da mettere a disposizione».

Stavolta il «colpo del destino» si è materializzato non su una panchina ma in un negozio cinese di manicure. «La proprietaria voleva sapere se potevo aiutare la sua bambina a fare i compiti. Come dirle di no? Ho accettato perché mi sono calata nei panni di quella madre che lavora tutto il giorno e ha la figlia con gravi difficoltà linguistiche». Le si è spalancato un mondo imprevedibile. «Le famiglie che ho conosciuto conservano profonde radici culturali con il proprio Paese e anche per i bambini nati in Italia è forte l’impronta cinese nella loro vita. Anche se frequentano le nostre scuole, appena rientrano a casa si ritrovano in un’altra realtà e comunicano prevalentemente in cinese, in particolare se sono affidati alle nonne che sanno poco o niente della nostra lingua». Da questa situazione le loro difficoltà. «Sono dei geni in matematica, ma fanno fatica ad esprimersi in italiano usando articoli o verbi; il loro lessico è decisamente limitato. Per esempio, se in un testo si imbattono in un vocabolo comune come ‘torta’, non è scontato che ne comprendano il significato. Una volta ho detto a una di loro di fare attenzione al gradino. ‘Cos’è un gradino?’, mi ha risposto». Come con gli immigrati dall’Africa, il passaparola, stavolta nella comunità asiatica, ha fatto rapidamente proseliti. «Ora seguo sette bimbi, dagli 8 agli 11 anni, dalla prima alla quinta elementare, 5 maschi e due femmine: una è bravissima, scrive le parole come fossero ideogrammi, in compenso non sapeva quelle di base. Le lezioni si svolgono preferibilmente a casa mia ma anche da loro, sono divisi in tre gruppi. Oggi siamo seduti su questa panchina perché ho tenuto eccezionalmente io i bambini dal momento che la mamma era via e la scuola non è ancora iniziata». Anche con i nuovi studenti l’insegnamento va al di là della lingua. «Per aiutarli sempre meglio a fraternizzare con l’italiano, recentemente li ho accompagnati nell’accogliente biblioteca dei bambini qui in città. Inoltre, io e mio marito siamo andati con due fratellini allo Zini a vedere la Cremonese. Non conoscevano il contenuto del termine ‘tifo’, di cui i loro compagni italiani invece parlano in continuazione, e per questo si sentivano tagliati fuori. Collaboro anche con i professori, accompagnando ai colloqui le mamme». Sta raccogliendo i frutti dei suoi sforzi. «Quando questi bimbi riescono ad acquisire sicurezza nel lessico e, quindi, in se stessi, capiscono un po’ meglio gli ingranaggi, dopo aprono le ali e volano da soli. Uno è diventato il migliore della classe. Sì, anche in italiano».

Quello che fa, ora e prima, è puro volontariato. «I genitori ci hanno ripagato con un pranzo a Milano, nel cuore di Chinatown: che soddisfazione essere l’unico tavolo misto. La ragione del mio impegno? Ho avuto la fortuna di studiare, devono averlo anche queste persone. Saper parlare correttamente è la cosa più importante, per un adulto come per un bambino».

Per quelli nati in Italia da genitori cinesi e per quelli rimasti in Africa ma che l'infaticabile linguista non ha dimenticato. «Sto progettando di scrivere un manuale in francese per i professori delle primarie in Costa d’Avorio. Non hanno niente, nessuno strumento didattico per fare lezione in classi numerosissime, con più di trenta, quaranta ragazzini. Per me quegli insegnanti sono eroi senza mantello». Come lo è lei, la maestra della panchina.

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