L'ANALISI
CREMONA. NELLE AULE DI GIUSTIZIA
02 Settembre 2025 - 17:21
CREMONA - Del pandemonio che ha scatenato il 19 agosto scorso, martedì, nel posto di polizia dell’ospedale Maggiore, non ha un solo ricordo. Nemmeno di aver aggredito un agente (5 giorni di prognosi). Da quel giorno è in carcere.
Nonostante il buio, oggi l’uomo, 40 anni, in lacrime ha chiesto scusa. Lo ha fatto durante il processo con rito abbreviato, finito con la sua condanna a 1 anno e 6 mesi (il pm aveva chiesto 2 anni e 8 mesi). La polizia penitenziaria lo ha riportato a Cà del Ferro. L’imputato è scoppiato in un pianto a dirotto, perché da novembre non vede il suo bimbo. «Io posso stare anche in carcere, ma l’importante è che io possa vedere mio figlio».
Lo ha detto al giudice e a Cristina Pugnoli, l’avvocato che oggi ha sostituito il collega Paolo Rossi, difensore di fiducia impegnato fuori città. Pugnoli ha raccolto dal 40enne una storia che lei stessa ha definito «di disperazione».
È la storia di un uomo con un passato da giardiniere, poi caduto nel vizio della droga. Un ex tossicodipendente («Si è poi disintossicato in carcere», conferma l’avvocato Rossi) che a fine giugno 2023, «sotto l’effetto di sostanze», con un petardo aveva fatto saltare il distributore di sigarette, gratta & vinci e denaro della tabaccheria di Borgo Loreto. Quella notte, i carabinieri lo avevano arrestato in flagranza. Convalidato l’arresto, il giudice lo aveva messo ai domiciliari, ma poi era evaso. La condanna a due anni per il tentato furto aggravato a Borgo Loreto è arrivata a novembre 2023. Domiciliari. A dicembre, era evaso: condanna a 1 anno.
Uscito dal carcere, senza un tetto e un lavoro, l’uomo si è arrangiato con una tenda. «Mi ha raccontato che per un breve periodo ha percepito la Naspi e che i soldi gli erano serviti per pagarsi la piazzola al campeggio», spiega l’avvocato Pugnoli. Poi i soldi sono finiti e il 40enne si è messo «a girare sotto il cielo: mi ha raccontato che ha dormito sotto la tenda nei parchetti o nei garage, che si era sistemato al parchetto dietro la Negroni e con gli strumenti del suo vecchio lavoro da giardiniere, con un decespugliatore si era creato una piazzola. Poi da lì è stato mandato via. Mi ha raccontato di aver dormito nel parcheggio dello stadio Zini. E di aver chiesto ripetutamente aiuto alla Caritas, ai servizi sociali, ma un posto non c’era». Il 40enne ha riferito all’avvocato che nelle poche occasioni in cui ha visto suo figlio, «andava alla Caritas, si faceva la doccia per mettersi in ordine».
«È una storia fotocopia di tante altre — prosegue la legale —, di gente che esce dal carcere, non ha una casa, non ha un lavoro, non ha di che mantenersi, non ha strumenti per affrontare la vita e, gioco forza, prima o poi è inevitabile commettere qualcosa di illegale, anche solo per il turbamento emotivo in cui si vive, a maggior ragione se non riesci a vedere tuo figlio». L’imputato «è un uomo solo molto sfortunato».
Oggi al processo non è stata chiesta la revoca della misura. L’istanza sarà presentata in un secondo momento. «Il giudice ha cercato di fargli capire che non si può vivere in questo modo, perché se vivi in strada, ci ricadi. L’alternativa al carcere è una comunità». Nel frattempo, il 40enne resta a Cà del Ferro. «Io posso stare in carcere, ma l’importante è che possa vedere mio figlio».
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