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LA CITTA' DELLA MUSICA

Corso di restauro: l’ora di Malagodi

Il nuovo presidente della laurea quinquennale succede a Guido

Nicola Arrigoni

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narrigoni@laprovinciacr.it

14 Luglio 2025 - 10:46

Corso di restauro: l’ora di Malagodi

Nel riquadro Marco Malagodi

CREMONA - «Ad oggi gli iscritti per il prossimo anno accademico ci sono». Parola di Marco Malagodi, che dall’avvio dell’anno 2025/2026 assumerà la presidenza del corso di laurea in Conservazione e restauro dei beni culturali, un percorso quinquennale afferente all’ateneo di Pavia che permette di diventare restauratore di beni vincolati, oltre che avere una laurea spendibile a tutti gli effetti. Malagodi, già direttore del laboratorio di diagnostica dei materiali presso il Museo del Violino, succede a Massimiliano Guido.

«È un incarico impegnativo quello che mi accingo ad assumere, ma ho la fortuna di poter avvalermi del buon lavoro fatto da chi mi ha preceduto – spiega -. Il rapporto fra corso e laboratorio del Museo del Violino è stato intensificato, Guido ha avviato una serie di relazioni con importanti istituzioni: il Museo Correr di Venezia, il Museo Nazionale degli Strumenti Musicali di Roma, l'Istituto Centrale del Restauro di Roma. Ciò ci ha permesso di avere a disposizione molti strumenti diversi da restaurare, oggetto dei lavori di laurea degli studenti».

C’è poi un aspetto non indifferente che riguarda la didattica: «Io eredito un corso quinquennale che si sta affinando, che non ha avuto paura di ripensarsi in nome di una didattica sempre più incisiva ed efficace – continua -. Ad esempio, gli esami tecnico-scientifici sono stati anticipati ai primi anni, mentre l’intero ultimo anno è dedicato al lavoro di tesi. C’è una maggior programmazione anche nei tirocini che gli studenti devono fare, insomma una facilitazione un po’ su tutti gli aspetti. Il mio lavoro si inserisce in questo contesto di piccoli, ma importanti cambiamenti, volti a rendere il corso sempre più attrattivo e professionalizzante». Date queste premesse, Malagodi, forte anche del ruolo all’interno del laboratorio Arvedi, è determinato a «promuovere una serie di affondi tecnici che possano essere utili sia per chi agisce su strumenti musicali, sia per chi si occupa di strumenti scientifici, un patrimonio immenso che ha bisogno di attenzione – spiega –. Per questo mi piacerebbe proporre approfondimenti legati ad alcune tematiche specifiche, ad esempio come si fa il consolidamento, come si interviene nella rimozione di un degrado biologico, come si applicano le puliture delle superfici degli strumenti musicali e non. L’idea è sviluppare dei focus che diano agli studenti strumenti molto più specifici negli interventi. Se c’è uno strumento musicale decorato, può lo studente intervenire sulla parte anche di decorazione e se sì, in che modo? Questo solo per fare un esempio».

Nei progetti di Malagodi, sempre per quanto riguarda il contesto didattico, c’è la volontà di «potenziare l’integrazione delle scienze applicate con beni culturali — spiega —. Ecco perché gli studenti devono studiare chimica, fisica, biologia. Cioè devono avere familiarità con tutte quelle scienze che poi li aiutano a capire i materiali con cui hanno a che fare e a individuare le caratteristiche del degrado dell'opera». In tutto ciò si pone l’interazione molto forte col laboratorio Arvedi, già tracciata da Guido. Non è un caso che molte tesi dei ragazzi iscritti al corso vengano realizzate e seguite dal laboratorio.

Il corso è pensato per cinque iscritti all’anno, si tratta di un corso unico, ma anche assai impegnativo per mole di studio e richiesta di attività laboratoriale, non è infrequente che alcuni abbandonino, da qui l’esigenza secondo il futuro presidente della Laurea in restauro e conservazione dei beni culturali, di creare una graduatoria di papabili: «Abbiamo bisogno di giovani, di ragazzi, quindi è importante procedere per tempo, comunicare in modo continuativo le opportunità offerte dal corso – spiega –. A questo lavorerò dall’ 1 ottobre, quando assumerò la presidenza, mi piacerebbe avere graduatorie di papabili iscritti di almeno una quindicina di aspiranti, in modo tale di avere sempre una riserva, nel caso di abbandoni. Avere una graduatoria permetterebbe di assicurare una presenza costante di iscritti al corso».

Un corso che Malagodi non nasconde essere impegnativo, sia per la parte di studio che per quella laboratoriale, ma che rappresenta un unicum a livello non solo italiano: «Chi frequenta i cinque anni di corso diventa ufficialmente restauratore di strumenti musicali e strumentazione scientifica e tecnica ed è questo un titolo spendibile a livello internazionale. Al tempo stesso diventa dottore in conservazione e restauro. Si finisce il corso quinquennale con un doppio titolo, di cui la formazione di restauratore si connota come altamente professionalizzante e riconosciuta dalle istituzioni museali e che conservano beni vincolati.

Tutti coloro che si sono laureati da noi hanno un’occupazione, a partire da Riccardo Angeloni, oggi conservatore dell’MdV e nostro primo laureato, piuttosto che Luca Rocca, che lavora a Genova ed è diventato assegnista di ricerca a Pavia».

Le potenzialità professionali sono altissime e chiamano in causa non solo l’orizzonte italiano ma anche le grandi istituzioni internazionali e il sogno di Malagodi, alla vigilia del suo insediamento, è quello dell’internazionalizzazione: «Credo che le potenzialità del corso in conservazione e restauro dei beni culturali possano andare ben oltre i confini nazionali; c’è fame di cultura e di tutela e all’estero guardano all’Italia come la patria della conservazione e tutela – conclude Malagodi -. Da qui il progetto, tutto da valutare con gli organi accademici, di immaginare insegnamenti in inglese, spingendo sull’internazionalizzazione.

Credo che questa apertura potrebbe dare nuova linfa al corso e venire in aiuto a un bisogno formativo che va oltre i confini italiani. Per ora questa è solo un’idea, ma credo possa essere una interessante prospettiva di sviluppo».

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