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DA PARIGI A NAIROBI SULLE PUNTE

Pas de deux negli slum: ballare per Still I Rise

Primo ballerino dell’Opéra, Carbone ha insegnato danza classica agli studenti di Govoni

Nicola Arrigoni

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narrigoni@laprovinciacr.it

12 Luglio 2025 - 05:20

Pas de deux negli slum: ballare per Still I Rise

Alessio Carbone con i bambini di Still I Live. A sinistra Nicolò Govoni

CREMONA - Pas de deux, grand jetès e tutta la semantica della danza classica nelle slum di Nairobi, un azzardo, un sogno, un’apertura inattesa verso un mondo che può apparire lontanissimo dal patinato balletto classico. Eppure così non è. A raccontarlo è Alessio Carbone, protagonista, dopo l’incontro con Still I Rise di Nicolò Govoni, l’attivista cremonese, di un’esperienza di stage all’interno della scuola di Nairobi, realizzata nel cuore delle baraccopoli e che offre un’istruzione d’eccellenza agli ultimi della terra per cambiare il mondo. Ed è per sostenere questa realtà e per condividere un’utopia di bellezza e voglia di cambiare che il Balletto di Venezia, diretto da Alessio Carbone, figlio d’arte — il padre Giuseppe è figura di primo piano della danza della seconda metà del Novecento — promuove il galà Stelle di Domani in cui 12 ballerini internazionali si esibiranno in 12 spettacoli, di cui 11 aperti al pubblico, tra Venezia, Moncalvo, Porto Rotondo, Firenze, Treviso e Dublino. L’iniziativa, che ha il patrocinio del Ministero della Cultura, è un’opportunità unica per incontrare l’arte della danza classica interpretata da future étoile, attentamente selezionate da Alessio Carbone, direttore artistico della compagnia e già primo ballerino dell’Opéra di Parigi. Stasera alla Scuola Grande di San Rocco di Venezia si terrà una serata speciale proprio dedicata a Still I Rise, un modo per ricambiare le emozioni e la voglia di mettersi in gioco che Alessio Carbone ha ricevuto dall’incontro con gli studenti di Still I Rise.

carboni

La serata di Still I Rise consolida una collaborazione fra lei, il Balletto di Venezia e l’organizzazione di Nicolò Govoni.
«Tutto è partito dalla serata organizzata al Carcano di Milano un anno fa in cui Nicolò chiese di realizzare un galà di giovani danzatori classici per promuovere attraverso l’eccellenza della danza il progetto di un’istruzione di eccellenza, riservata alle élite, ma in questo caso rivolta agli ultimi del mondo».

In quell’occasione che cosa è successo?
«Mi si è letteralmente aperto un mondo, ho sentito una spinta ad agire fortissima, una volontà di cambiare le cose, di mettersi in gioco veramente per rivoluzionare l’esistente e offrire a tutti pari opportunità di realizzazione e di formazione».

A questo choc emotivo ha poi fatto seguire un’azione concreta?
«Per chi conosce Govoni, prima della serata del Carcano io non sapevo chi fosse, sa che non è difficile farsi affascinare e sa come sia una persona aperta e disposta a sperimentare sempre, se in questo vede la possibilità di un cambiamento. Non ci è voluto molto perché mi invitasse a Nairobi a vedere la scuola nel cuore dello slum».

E lei cosa ha fatto?
«Non mi sono limitato ad accogliere l’invito, ma con Nicolò abbiamo pensato a uno stage intensivo di danza per gli allievi della scuola di Still I Rise. Ed è stato meraviglioso, ancora oggi ripensare a quell’esperienza mi riempie di una gioia inesprimibile».

Che effetto le ha fatto arrivare a Still I Rise?
«Nella serata del Carcano si era spiegato il progetto. Ma essere a Nairobi in questa scuola veramente all’avanguardia nel mezzo della miseria più misera ha qualcosa di indescrivibile. Si tratta di un’oasi educativa nel mezzo di una immensa baraccopoli. All’inizio è stato uno choc».

Come ha lavorato con gli alunni della scuola?
«Al mio arrivo l’organizzazione aveva selezionato una quarantina di ragazzi dai 12 ai 16 anni equamente divisi fra maschi e femmine. Le giornate di lavoro erano divise in due momenti: la mattina per un primo approccio alla classica e il pomeriggio per la contemporanea, sempre declinando tutto con l’obiettivo di creare un gruppo, di creare fiducia gli uni negli altri. Centrali erano i momenti di improvvisazione e il lavoro sul non dileggiare chi si metteva in gioco, sviluppando il rispetto per lo sguardo dell’altro. Ciò ha permesso ai bambini di muoversi e, a volte, esprimere l’inseprimibile o il rimosso col corpo».

Come hanno accolto i ragazzi il linguaggio della danza e della classica in particolare?
«Con grande curiosità. Tutto il lavoro veniva mediato da un clima di gioco. Fare le piroettes diventava una sorta di gara di abilità, nessuno si tirava indietro. Ma è sulle improvvisazioni che venivano fuori le cose più forti e drammatiche. C’è chi ha mimato la propria morte, oppure la violenza con cui ha a che fare tutti i giorni. Mai come in questo contesto la danza e il corpo sono veicoli di emozioni e di rivelazione. Ma la cosa incredibile era la loro curiosità».

Che cosa intende dire?
«Molti di loro dormono all’interno della scuola e la sera ci si trovava insieme, mi chiedevano dell’Italia, della pizza. Mi hanno insegnato le loro danze, erano incuriositi dai filmati dei grandi balletti classici che facevo vedere loro. Un mondo sconosciuto e che assomiglia alle favole: questo si percepiva dai loro occhi. Sono tornato da questa esperienza profondamente cambiato e sarei pronto a ritornare subito. Ma non è detto che non si replichi».

Che cosa si è portato via da quell’esperienza?
«Ho avuto la conferma che l’educazione è la salvezza di quei bambini, che noi tutti abbiamo una responsabilità nei confronti dell’infanzia. Mi porto dentro l’immagine di Brian che mi aspettava sulla porta. La domenica tutti tornavano nelle loro abitazioni e dalle loro famiglie. Per lui voleva dire tornare in orfanotrofio. Mi ha guardato con uno sguardo di una tristezza straziante. Me lo sono abbracciato e siamo andati insieme a giocare a basket».

In tutto questo la danza che valore ha avuto?
«Il valore di mettere in gioco le relazioni, di non aver vergogna del proprio corpo. La danza offre la possibilità di esprimere emozioni e traumi attraverso il movimento, offre l’opportunità di sperimentare la libertà di muoversi nello spazio e insieme agli altri. Per la fine corso abbiamo organizzato una dimostrazione giocosa di quello che avevamo fatto. Ma in tutto questo sono gli sguardi dei bambini, i loro sorrisi e la loro energia corporea a essermi rimasti dentro. Ho ricevuto più di quanto ho dato, per questo anche la serata de Le stelle di Domani dedicata a Still I Rise è un modo per ripagare dell’esperienza bellissima che ho fatto. Mi ritrovavo la sera a chiamare i miei figli per raccontare cosa stavo facendo, tante erano le emozioni che avevo provato che sentivo la necessità di raccontarle e condividerle con la mia famiglia. E tutto questo avendo come linguaggio comune la danza. Cosa chiedere di più?»

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