L'ANALISI
09 Luglio 2025 - 05:20
Maria Grazia Nolli, Alberto Ferrari, Nicoletta Ferrari e Simona Piperno
CREMONA - Quella sul senso dell’esame di maturità è una querelle tanto datata quanto attuale. Stavolta, a Cremona, il capitolo si riapre con uno spunto che viene da lontano: il recente caso (divulgato dalla stampa nazionale) dello studente di Padova che, avendo totalizzato 62 punti agli scritti (2 in più dello stretto indispensabile per essere promossi), si è presentato all’orale rifiutandosi di sostenere la prova.
Secondo Alberto Ferrari, dirigente scolastico del liceo Aselli, l’esame non deve essere visto come una caccia al punteggio, ma come un’occasione (peraltro irripetibile) per dimostrare chi siamo. Il discorso vale anche per l’alunno in questione, che in fin dei conti è stato promosso con 65 (rispondendo in extremis a poche domande della commissione e ottenendo il minimo sindacale, 3 punti).
«Peccato – commenta Ferrari – che il ragazzo non abbia colto che la scuola non è il voto. Il ragazzo ha seguito un ragionamento meramente matematico, come tanti altri, entrando nel meccanismo per cui la scuola sarebbe semplicemente una fucina di numeri. La scuola, al contrario, è uno spazio di confronto e dialogo. Poco importa, a mio parere, quello che poteva essere il voto di uscita». Quello riportato dalla cronaca nazionale non è certo un caso isolato: «È capitato anche a noi – racconta Ferrari – qualche anno fa. Abbiamo assegnato un punteggio molto basso nell'orale».
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Nicoletta Ferrari, preside dell'Einaudi, per cui la maturità è tutto fuorché una presa in giro: «Nulla è mai una farsa – ribatte - La vita ci pone di fronte a prove importantissime, che ci servono a crescere, a misurarci. Affrontare un colloquio implica adrenalina, agitazione, raccolta di idee. Sono percorsi fondamentali che devono essere fatti con voti scritti, orali e un colloquio, che mette alla prova lo spirito critico del candidato. Se non ci si confronta con un altro soggetto, anche con un valutatore, si scade nell’autoreferenzialità più totale».
Una scelta legittima, secondo Simona Piperno, preside dell’IIS Torriani, ma tutt’altro che condivisibile: «‘Maturità’ significa anche essere capaci di affrontare una prova che non si condivide pienamente. È inevitabile trovarsi a valutare uno studente sulla capacità di mettersi in gioco in un momento così importante del suo percorso formativo». E aggiunge: «Lo studente deve avere avuto una determinazione non discutibile. Evidentemente, non aveva interesse ad avere un punteggio superiore, e ha fatto un atto dimostrativo, a discapito della sua capacità di mettersi in gioco. Non è un messaggio che mi sento di sostenere».
Per Maria Grazia Nolli, preside del Liceo Manin, «il rifiuto di sostenere il colloquio orale, di per sé, non è positivo, perché denota una mancata adesione conclusiva a quello che è stato un intero percorso scolastico. Un gesto poco rispettoso nei confronti dei compagni, che hanno sostenuto il colloquio regolarmente. L'esame conclusivo dei cinque anni di studio è innanzitutto un'opportunità, non solo una prova: si tratta di esprimere se stessi alla fine di un percorso. L’appello è sempre ad esercitare lo spirito critico cogliendo le opportunità, non negandosele».
Allineato anche il parere del provveditore Imerio Chiappa: «L’esame - esordisce - che i ragazzi sostengono al termine del percorso delle superiori è il primo scoglio che nella vita si trovano a dover superare: per la prima volta soli, davanti ad un gruppo di persone (alcune delle quali sconosciute), a dimostrare, appunto, la propria maturità. L’unico altro evento simile è l’esame di terza media. Non possiamo perdere questo passaggio di senso. Dispiace venire a conoscenza di episodi come quello di Padova, che pure non è un caso isolato».
E prosegue: «Se fosse stata una forma di protesta, il dissenso sarebbe stato legittimo. Ma al ragazzo avrei voluto dire: l'esame è il tuo momento. Tutti ricordiamo il nostro, forse più ancora della laurea. Lo stai perdendo. Per protestare, ci sono altre strade: bastava una lettera, a esami conclusi. Se invece l’alunno, semplicemente, non era interessato al risultato, siamo fuori dal concetto stesso di ‘maturità’ sotteso alla prova».
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