L'ANALISI
24 Giugno 2025 - 05:25
24 giugno 2024: Andrea Virgilio festeggia l’elezione a sindaco di Cremona in Largo Boccaccino
CREMONA - Un anno fa era stato «bello come il gol di Scarsella»: Cremona si era fidata e Andrea Virgilio aveva trovato nel ricordo della zampata sotto il diluvio dell’esterno grigiorosso, decisiva per il ritorno in Serie B della Cremonese dopo un purgatorio lungo e anche tormentato, l’immagine giusta per incorniciare descrivendola una vittoria, la sua come quella della squadra del cuore, arrivata proprio all’ultimo respiro.
Sei maggio 2017: mister Tesser e i suoi ragazzi promossi. Ventiquattro giugno 2024: Virgilio eletto sindaco al ballottaggio. Scontro duro, sul campo; uno contro uno spigoloso, nella sfida elettorale: 13.013 voti contro i 12.821 del candidato del centrodestra, il civico Alessandro Portesani. Appena 192 preferenze, margine risicato. Abbastanza, però, per far saltare il tappo alla bottiglia di spumante in Largo Boccaccino. «E così è ancora più emozionante — si era lasciato andare l’ex vice di Gianluca Galimberti abbracciando il personale salto di qualità —. Oggi sposo la mia città». Dodici mesi dopo, mentre il matrimonio prosegue «spero con reciproca soddisfazione», la Cremo è appena salita in Serie A.
Il grigio e il rosso devono proprio essere nel suo destino.
«Certi momenti non si dimenticano, ti entrano dentro e restano lì, in particolare quelli che vivi da bambino, magari con chi poi perdi troppo presto. Ecco: per me, la Cremonese è molto più di una squadra, è radici, identità, memoria condivisa. È il ricordo di mio padre che mi porta allo stadio la prima volta. Allora, da tifoso, la promozione in Serie A è una gioia immensa. Da sindaco, un risultato enorme, costruito con dedizione e lavoro da parte di tutti, allenatore, giocatori, società e tifosi. Ma è anche una grande opportunità per tutta la città: ci mette sotto una luce nuova, ci unisce, ci fa sentire parte di qualcosa di più grande. Per questo abbiamo accolto la squadra a palazzo comunale».
Qualcuno ha contestato l’entusiasmo eccessivo...
«Beh, forse non ha mai saputo cosa significhi lasciarsi andare alla felicità collettiva. O almeno non l’ha mai vissuta davvero».
L’antico tavolo di sala Della Consulta come sta?
«Posso garantire a tutti che ha resistito. Al ballo e anche all’indignazione».
E lei? Resiste?
«Senza fatica. Fare il sindaco è una straordinaria avventura umana».
Che significa?
«Mettersi in gioco ogni giorno con gli altri, restando sempre fedeli a ciò in cui si crede».
Raccontata così, sembra tutto bello.
«E lo è. Certo, i momenti complicati non sono mancati e non mancano».
Quello più difficile? E quello più gratificante?
«Non parlerei di momenti belli o brutti in senso assoluto. Ogni giorno è un intreccio di opportunità, ostacoli, soddisfazioni... E se posso dirlo con sincerità, anche di qualche sana incazzatura. È il ritmo vero delle cose, se ci tieni e le vivi davvero».
LA SICUREZZA
Non si costruisce
né con le parole
né con le etichette
né agitando paure
ma prevenendo
con azioni diverse
e integrate
Va bene, allora la fase più dura gliela ricordo io: l’allarme sicurezza, deflagrante per alcune settimane e ancora alto adesso. Lei non è responsabile dell’ordine pubblico ma il cittadino in questi casi punta comunque il sindaco e si è inevitabilmente ritrovato nel pieno di un’allerta sconosciuta a Cremona. E al centro della polemica.
«Guardi, io penso che a volte sia giusto prendersi responsabilità anche quando non si è direttamente responsabili. In generale, ritengo che la sicurezza non si costruisca solo con le parole giuste, ma anche con azioni diverse e integrate. La destra usa solo parole, quelle della paura, ma è al governo e non vedo maggiori investimenti e maggiore attenzione sul tema. E anche una parte della sinistra rischia di cadere nella divisione fra azioni repressive e preventive».
A proposito: ha concordato con il prefetto Antonio Giannelli l’istituzione delle zone rosse con Daspo, ha accolto l’istanza di Fratelli d’Italia di richiedere l’esercito, ha già deciso che toglierà monopattini ed e-bike. Una svolta securitaria, si direbbe: è ancora un sindaco di sinistra?
«Convintamente di sinistra. Prendo l’esempio dell’investimento sulla polizia locale. Un sindaco ha il dovere di occuparsi anche di questo. Etichettare l’assunzione di agenti come una scelta repressiva è sbagliato e riduttivo. A Cremona, la Municipale è presidio di comunità: parla con i cittadini, entra nei contesti difficili con rispetto e competenza, media nei conflitti, fa prevenzione nelle scuole, tutela gli anziani. Fa ciò che serve, lì dove serve. Non è questione di etichette, ma di sguardo integrato. Il mio compito è proprio questo: tenere insieme funzioni diverse, farle dialogare, renderle complementari. La stessa collaborazione con le forze dell’ordine va in quella direzione. Poi c’è una visione di città».
Qual è?
«Il progetto Giovani in centro, una rigenerazione urbana che sta restituendo vita e relazioni ai centri civici e agli spazi di quartiere e sostegno a realtà culturali che scommettono sulla cittadinanza attiva delle nuove generazioni. Poi il lavoro che stiamo portando avanti con la scuola di seconda opportunità, l’investimento sulle nostre scuole e sui servizi alla persona, sui minori stranieri, le diverse modalità di collaborazione con il terzo settore: sono tutti tasselli concreti di una comunità che costruisce coesione partendo dai legami, dalle opportunità e dalla fiducia».
Non si sta rivelando un modello perfetto, però.
«Non lo è e nemmeno pretende di esserlo. Ma è concreto, vivo e possibile. Ed è lì, in quel dialogo tra istituzioni, comunità e realtà del territorio, che dobbiamo continuare a stare. Con lucidità, fiducia e passione».
Forse servirebbe maggiore attenzione ai minori? E ai minorenni stranieri in particolare?
«Penso che sui minori stranieri Cremona stia dando un contributo importante, ma sproporzionato alle sue dimensioni. L’accoglienza, se fatta bene, deve essere adeguata al contesto. E per questo chiederò maggiore collaborazione ai territori della nostra provincia perché non è possibile che solo Cremona si accolli questo compito fondamentale per la vita e il futuro di tanti giovani».
Cremona e il territorio, appunto: l’accusano di non esercitare adeguatamente il ruolo di capofila.
«Ho letto tanto, a riguardo. E nonostante tutto quello che ho ascoltato, resto convinto che il ruolo guida di Cremona non lo si declini prendendo in mano un’area omogenea, ma stando sui temi e sviluppandoli oltre il perimetro del comune».
Come, in concreto?
«A partire dalla valorizzazione del Po, del turismo, della connessione fra università e filiera agroalimentare».
LA FIERA
La svolta eventi
è fondamentale:
smettiamo
di leggerla
con la lente
della concorrenza interna
La fiera, che proprio nei giorni scorsi ha presentato il progetto ‘Infinity one – Event Space e Gran Teatro’, può fare da traino.
«Una svolta importante, che davvero sa guardare al futuro e che ci richiama a un principio fondamentale: la corresponsabilità. Io, senza polemiche ma con grande spirito collaborativo, chiedo ancora più attenzione a Regione Lombardia: la fiera non deve essere solo luogo di passerelle quando il territorio genera eventi, ma di collaborazione. Con Milano e anche con Roma. Aggiungo: se immaginiamo di trasformare parte di quegli spazi in luoghi per la musica e i concerti, non possiamo leggerlo con la lente della concorrenza interna. Dobbiamo smettere di pensare che valorizzare una realtà significhi automaticamente metterne in ombra un’altra».
Si riferisce ai malumori che attraverserebbero sottotraccia la dirigenza del teatro Ponchielli?
«Mi riferisco al fatto che se il nostro problema è un eccesso di proposte culturali, allora ben venga! La ricchezza di una città si misura anche nella sua capacità di offrire e di moltiplicare occasioni, non di limitarle. E se ci sono sovrapposizioni, pazienza: ciò che conta è costruire un sistema che integri, che dialoghi, che si rafforzi nella diversità. Perché una comunità cresce davvero quando smette di dividersi in spazi e interessi e inizia a giocare la partita insieme».
IL MASTERPLAN
Non basta
un documento
che fotografa
il passato: occorre
uno strumento
che alimenti
il futuro
Vale anche per il Masterplan: il presidente uscente dell’Associazione Industriali, Stefano Allegri, ha lasciato sferzando proprio la politica. «Sembra abbia al polso un orologio diverso dal nostro» ha affondato il colpo riferendosi alla lentezza nel prendere decisioni.
«Dico la verità: il Masterplan rappresenta un’opportunità importante, ma stimo il rischio che si limiti a raccogliere politiche già esistenti, consolidate nei territori e soprattutto messe in campo dai Comuni più strutturati. E nello specifico di alcuni giudizi negativi sul ruolo della pubblica amministrazione, che naturalmente ho ascoltato, in realtà penso che in questo territorio gli enti locali abbiamo fortemente contribuito al suo sviluppo e anche a esercitare una pressione politica sugli enti sovraordinati rispetto a partite delicate come quella infrastrutturale. Non sempre, invece, il mondo economico ha esercitato la stessa pressione. Faccio un’altra considerazione: questo territorio dipende ancora troppo dalle erogazioni di Comuni e istituzioni pubbliche. Per crescere davvero, è al contrario necessario che imprese e categorie economiche si attivino con maggiore visione. Solo così potremo alimentare uno sviluppo solido, duraturo e condiviso. Penso alla valorizzazione delle nostre filiere produttive, penso alla Zone Logistiche Semplificate ma anche alla Zone di Innovazione e Sviluppo, che potrebbero essere in sintonia con l’esigenza di sviluppo della nostra filiera agroalimentare mettendo insieme enti pubblici e realtà private. Serve un salto di qualità: non basta un documento che fotografa il passato, occorre uno strumento che generi visione e alimenti il futuro. E per costruire il futuro serve un impegno quotidiano, un vero gioco di squadra, applicato andando oltre la logica del bussare alle porte degli enti pubblici in cerca di risorse».
E potrebbe valere, di nuovo, anche per la liuteria?
«Condivido le riflessioni dell’assessore Bona: sul piano di salvaguardia, il Comune ha un ruolo importante e il suo primo dovere è quello di ascoltare tutto il mondo della liuteria, anche quello che non è rappresentato dalle realtà associative. È un principio di democrazia locale a cui va dato concretezza».
L'UNIVERSITÀ
Fondazione
Arvedi Buschini
ci ha fatto un dono
e ora tocca a noi
sciogliere i nodi
che rallentano
le ambizioni
Un esempio da seguire c’è: l’università. È quella la principale sfida di una città che vuole prendersi il futuro?
«La vocazione universitaria di Cremona non è scontata. Anzi: è il frutto di scelte coraggiose e di visioni lungimiranti. Penso al contributo fondamentale della Fondazione Arvedi Buschini, che ha permesso di restituire alla comunità, non solo studentesca, spazi straordinari, belli e funzionali. Ora tocca a noi: come amministrazione, il nostro sostegno non verrà mai meno. Ma da soli non basta. Serve collaborazione, visione condivisa, capacità di fare sistema. Dobbiamo superare la frammentazione che spesso rallenta i percorsi più ambiziosi, anche nel rapporto con il mondo universitario che deve dimostrare ancora di più la volontà di fare squadra. Una città universitaria non si costruisce solo con le aule, ma con un ecosistema che coinvolga istituzioni, imprese, associazioni, fondazioni. Per questo lancio una proposta».
Prego.
«Lavoriamo insieme per dar vita a una Fondazione per Cremona Città Universitaria. Un luogo in cui possano confluire le risorse del Comune, ma anche il sostegno di soggetti privati, del mondo economico e delle realtà del territorio. Abbiamo un patrimonio straordinario, ma dobbiamo assumerci la responsabilità di farlo crescere. Il nostro territorio ha tutto per diventare un punto di riferimento: ma serve il coraggio di navigare insieme, con spirito unitario e responsabilità condivisa».
Mi pare di cogliere una critica a quella parte di sistema che storicamente è più abituata — o addirittura preferisce — a guardare al bicchiere mezzo vuoto piuttosto che a quello mezzo pieno: sbaglio?
«Guardi, di Cremona apprezzo la capacità, quando vuole, di fare sistema. Lo abbiamo visto nei momenti più drammatici, come durante la pandemia, ma lo vediamo anche nelle piccole collaborazioni quotidiane, nelle buone pratiche che nascono ogni giorno, spesso lontano dai riflettori. Quello che invece va contrastato è un certo racconto autodistruttivo, che appunto guarda solo alla parte vuota del bicchiere e, pur di colpire chi amministra, finisce per gettare discredito sull’intera città. È un atteggiamento che fa male, che spegne energie, che allontana le persone dalla fiducia reciproca».
LE MINORANZE
Credo nel dialogo
se è autentico
Il paradosso
è che i toni
strumentali
arrivano dall’area
più moderata
È un rilievo che muove anche alle minoranze?
«Io credo molto, e da sempre, nell’importanza di tenere aperto un canale di confronto. Credo anche di averlo dimostrato. E in alcuni casi è stato prezioso riuscire a condividere percorsi e scelte, anche partendo da visioni diverse. Il dialogo, quando è autentico, arricchisce».
Però?
«Però c’è un paradosso che non posso non rilevare: le resistenze maggiori, i toni più strumentali, li ho incontrati proprio in quell’area che si definisce moderata. Penso, ad esempio, a Forza Italia e alla civica di Portesani. È una contraddizione che fa riflettere. Al netto di giunte ombra che non sono mai esistite».
Ce n’è un’altra, di ombra: le opposizioni, e in particolare Alessandro Portesani, sostengono che il vero sindaco sia Luciano Pizzetti. Dica la verità: quanto è ingombrante il presidente del consiglio comunale?
«Non lo è per nulla. Avere al mio fianco una persona come lui è solo ed esclusivamente una fortuna, un valore aggiunto. Luciano per me è una risorsa preziosa, non solo perché mi ha accompagnato in questi anni, ma anche per il suo spessore politico e istituzionale. E non è affatto scontato che qualcuno con il suo profilo scelga di mettersi così a disposizione. Un sindaco ha il dovere di circondarsi di persone competenti e Luciano è sicuramente una di queste. Anche quando questo significa mettersi in discussione e imparare da chi ha più esperienza. In un contesto in cui molti si sentono già arrivati, io so di avere ancora tanto da imparare. E Luciano, in questo percorso, può essermi di grande aiuto. Anzi: mi è di grande aiuto e continuerà ad esserlo».
LA GIUNTA
Un rimpasto
di giunta?
Faremo il punto
tutti insieme
e verificheremo
se sarà
necessario
E il resto della sua squadra? Si sussurra di un possibile rimpasto in giunta.
«Vedremo se sarà necessario. Faremo il punto con la squadra e con la maggioranza. Valutando quel che dobbiamo fare e i risultati che già abbiamo ottenuto».
Quali sono i principali?
«Stiamo trasformando le risorse del Pnrr in cantieri reali, visibili, che toccano la vita quotidiana delle persone: dalla viabilità alle scuole, dagli edifici pubblici agli spazi per la comunità, fino alle case popolari. Non è un elenco, è un cambiamento concreto. Siamo in attesa dell’importante finanziamento per la riqualificazione della chiesa di San Marcellino, grazie al bando ‘Emblematici Maggiori’ di Fondazione Cariplo, in collaborazione con la Diocesi, il Politecnico e la Fondazione del Teatro Ponchielli. Un progetto che tiene insieme cultura, bellezza e innovazione. Con Rfi, invece, abbiamo portato a casa 5 milioni di euro per la rigenerazione dell’area della stazione: un nodo strategico per il futuro di Cremona. Ancora: abbiamo ottenuto le risorse per completare l’intervento su palazzo Grasselli».
Sì, ok. Però ai cittadini interessano anche le buche, le panchine rotte, il caos cantieri che sta tenendo banco, un verde pubblico che sia curato.
«So che è un fronte fondamentale e stiamo lavorando anche su quello: migliorare la reattività nel rapporto tra cittadino e manutenzioni è un obiettivo che abbiamo ben presente, perché la qualità della città passa anche dalla risposta tempestiva ai bisogni concreti. E infine, per me centrale è il rapporto vivo con i quartieri. Non solo ascolto, ma dialogo vero, attraverso assemblee pubbliche e confronti costanti. Perché una città si governa con le scelte, ma si costruisce insieme, passo dopo passo».
Forse non l’ha fatto, o non l’ha fatto abbastanza, nel caso Saap?
«Fin dal nostro insediamento ci siamo messi al lavoro, avviando la gara per riassegnare il servizio con l’obiettivo di garantire continuità e qualità, riconoscendo anche su richiesta delle cooperative le giuste risorse alla luce del nuovo contratto di lavoro per gli operatori sociali. È facile oggi, col senno di poi, tracciare scenari alternativi. Forse sarebbe servito più coraggio nel mantenere il contratto in essere fino a scadenza naturale. Ma ogni scelta che abbiamo fatto, nel caso specifico e in generale, è stata dettata dalla volontà di tutelare il servizio e i suoi protagonisti».
Anche sul fronte dell’utilizzo dei fondi del risarcimento Tamoil?
«Guardi, su quella partita non ho proprio dubbi: alla fine abbiamo un progetto che migliorerà davvero la vivibilità della città. E la condivisione larga in consiglio lo dimostra».
Per chiudere, torno al principio: mi racconta un dettaglio del giorno dell’elezione che non ha mai svelato a nessuno?
«Dopo la vittoria sono uscito di casa e da alcuni balconi arrivavano applausi: sembrava una scena sospesa, irreale. In quel momento ho sentito che, nel bene e nel male, una parte viva e sincera della città era con me».
È ancora così?
«Me lo auguro. Spero che Cremona continui a fidarsi di me».
In cambio cosa promette?
«Di dare sempre tutto con impegno e lealtà. Fino alla fine».
Come Scarsella.
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