L'ANALISI
09 Giugno 2025 - 20:52
CREMONA - Accusato di tentata violenza sessuale di gruppo in concorso con ragazzi rimasti ignoti, un 19enne tunisino oggi è stato condannato a 4 anni (il pm ne aveva chiesti 3). Il Tribunale ha ordinato l’espulsione. L’amico che al processo aveva provato a scagionarlo, dando la colpa ad altri due della banda, si è cacciato nei guai: gli atti sono stati trasmessi al pm per falsa testimonianza. Entro 90 giorni sarà depositata la motivazione della sentenza.
Finisce così, in prima battuta, il processo a carico di Baha Eddine Wachem, il 19enne in carcere dallo scorso novembre nell’ambito dell’indagine della Squadra mobile sui fatti accaduti la notte tra il 24 e il 25 ottobre, quando Maria ed Elena (nomi di fantasia, ndr), 20 e 19 anni, sono rimaste in balìa di una gang di giovanissimi. Dopo la serata trascorsa in centro, le due amiche si stavano incamminando verso il parcheggio della Coop in via del Sale. Lì Maria aveva lasciato la sua auto. Lì le ragazze hanno vissuto il terrore sulla propria pelle.
Maria: «Stavamo tornando dal centro quando siamo state avvicinate da un gruppo di cinque ragazzi. ‘Ciao, come state?’, ‘Amore, vieni qui…’. L’imputato ha tentato di baciarmi e abbracciarmi». Maria ha spinto via Elena. Entrambe si sono messe a correre fino all’auto. Si sono blindate dentro. «Ma loro ci hanno raggiunto, hanno provato ad aprire le portiere. Poi uno è salito sul cofano e si è sdraiato, continuava a dare baci dal vetro, uno è andato sul parabrezza, un altro ancora era dalla parte del passeggero dove era seduta la mia amica. Tiravano pugni, urlavano, leccavano il vetro anteriore, parlavano tra loro non in italiano: Sono rimasti un bel pezzo sulla macchina, tanto che non riuscivo a muoverla. Allora, ho chiamato un nostro amico e mentre ero al telefono, loro tiravano pugni ai vetri. Poi è passato un signore con il cane, quello sul cofano è sceso e io ho potuto fare la retro e fuggire».
Rincasata, Maria, terrorizzata, ha raccontato tutto ai genitori. L’indomani, in Questura, ai poliziotti della Squadra mobile lei e l’amica hanno descritto gli aggressori. Maria: «Quello che ha tentato di baciarmi aveva un cappellino di marca con la visiera di traverso e indossava un giubbino chiaro, mentre un altro aveva una tuta grigia con una specie di passamontagna». Al processo ha riconosciuto l’imputato: «È lui». Più titubante Elena: «Sono abbastanza convinta che sia lui, ma ho cercato di dimenticare».
Luca Mori, sostituto commissario della Squadra mobile: «Nelle settimane precedenti a questo fatto, c’era stata una recrudescenza di reati commessi da giovanissimi e in quei giorni eravamo nel pieno delle indagini». Il giorno dopo la denuncia di Maria e di Elena, durante i controlli nei luoghi di aggregazione dei più giovani, in via Dante i poliziotti avevano identificato un gruppo. E subito avevano notato un ragazzo vestito con un giubbotto chiaro. In testa aveva il cappellino marrone con i loghi. Era Wachem. Negli ultimi mesi, il 19enne aveva collezionato dodici denunce: detenzione di stupefacenti, resistenza, oltraggio a pubblico ufficiale, furto, rapina, ricettazione, lesioni.
«Non voglio essere condannato per un crimine che non ho commesso», si era difeso il 19enne al processo. Sia l’imputato sia l’amico testimone avevano scaricato le responsabilità su altri due della gang. «Loro due hanno inseguito le ragazze, noi abbiamo cercato di fermarli. Avevano consumato della cocaina e stavamo bevendo. Le hanno inseguite nel parcheggio e hanno cercato di bloccare l’auto perché non partisse». I giudici non hanno creduto né all’imputato né al suo amico.
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