L'ANALISI
08 Giugno 2025 - 05:05
CREMA - Ragazzini che si chiudono in casa e spesso restano esclusivamente nella loro stanza. Non certo un capriccio o una ripicca, ma un vero e proprio rifiuto dei contatti con l'esterno, una manifestazione di profondo disagio che comprende l'abbandono scolastico, l'addio alle attività sportive o di altro genere, una riduzione drastica della cerchia amicale, l'alterazione del ritmo sonno-veglia circadiano. Subentrano anche abitudini alimentari disordinate che sfociano in disturbi della nutrizione. Gli psicoterapeuti dell'adolescenza definiscono questo insieme di fattori come ‘ritiro sociale’. Una manifestazione di sofferenza conosciuta anche come hikikomori, termine giapponese, Paese dove questo fenomeno di volontaria esclusione dalla società si è manifestato in maniera preoccupante prima che in Europa.
Nel Cremasco i casi sono esplosi negli ultimi anni, complice anche la pandemia da Covid-19. Le richieste di presa in carico di preadolescenti e adolescenti finite sul tavolo degli specialisti dell'Asst erano 187 nel 2017, l'anno scorso hanno raggiunto quota 325. Contemporaneamente all'aumento delle richieste di consulenze ambulatoriali, si è reso necessario un incremento di ricoveri nel reparto di Pediatria di Asst. «Dal 2020 al 2024 come unità operativa di Neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza siamo riusciti a seguire con continuità 68 situazioni con grave ritiro sociale e scolastico di cui 40 femmine e 28 maschi dai 12 ai 18 anni – interviene Alessandra Foppa Pedretti (nella foto), che dirige il reparto –: le richieste sono state presentate dai genitori, perlopiù su invio della scuola che segnalava il rischio di superamento del limite consentito di assenze scolastiche. La complessità clinica e sociale di alcune situazioni ha reso necessario l'intervento dei Servizi sociali e della tutela minori su incarico del tribunale dei minorenni di Brescia».
I racconti di mamme e papà sono sempre gli stessi. I figli restano in casa, si lasciano andare sia fisicamente sia psicologicamente, si rinchiudono in se stessi, rifiutando amici e altri contatti con l'esterno. Le attività che un tempo sembravano coinvolgerli non interessano più. Subentrano poi problemi di salute correlati alla mancanza di attività fisica quali malattie cardiovascolari, obesità e altre condizioni mediche. In molti c'è ovviamente un eccessivo uso di videogiochi o esposizione a internet. «Si manifestano fenomeni di autolesività non suicidaria, umore deflesso e irritabilità. Si segnala che nella maggior parte dei casi presi in carico era già presente una situazione di svantaggio socioculturale, conflittualità familiare o familiarità per disturbi psichiatrici» aggiunge Foppa Pedretti.
Per cercare di aiutare questi giovanissimi ad uscire dal tunnel gli specialisti dell'Uonpia visitano innanzitutto il ragazzo o la ragazza. Lavorano in team, un neuropsichiatra infantile e uno psicologo per un iniziale inquadramento diagnostico e per valutare se sia necessaria una terapia farmacologica. Da lì parte un percorso che comprende anche incontri in rete con la scuola del paziente, i Servizi sociali e la tutela minori, quando questi sono stati attivati. «Al termine della valutazione si effettua una restituzione del quadro diagnostico e si concordano con il minore e la famiglia gli obiettivi – prosegue la direttrice – gli interventi terapeutici e le tempistiche. Il percorso di presa in carico dei ragazzi con situazioni con grave ritiro sociale e scolastico può prevedere i colloqui di psicoterapia, la consulenza dietistica o infermieristica, confronti con le assistenti sociali. Si cerca anche la costruzione di relazioni costanti con la scuola per la messa in atto di attività didattiche complementari a quelle tradizionali».
Diventa poi importante cercare di favorire i processi di reinserimento nel contesto sociale del minore: un fattore che rappresenta la criticità maggiore.
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