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IL VIAGGIO

Crema-Roma: la Francigena in bici

Bressanelli, presidente della Libera Artigiani, in sella per 850 chilometri: «Il mio Giubileo»

Riccardo Maruti

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rmaruti@laprovinciacr.it

26 Maggio 2025 - 05:15

Crema-Roma: la Francigena in bici

Marco Bressanelli a Roma e lungo la Francigena

CREMA -  Tutti vanno a Roma, ognuno a modo suo. Marco Bressanelli, presidente della Libera Associazione Artigiani di Crema, ci è andato in sella a una bicicletta, spinto da una fede autentica, da una passione viscerale per le due ruote e da un bisogno profondo di ascolto e riflessione. Il suo pellegrinaggio verso il Giubileo 2025 è stato molto più di una sfida fisica: è stato un viaggio dell’anima. La bici, per Bressanelli, non è un mezzo qualunque. È parte integrante della sua storia personale.

«La mia passione per la bicicletta è nata in famiglia, da sempre. A 24 anni ho cominciato con le prime competizioni amatoriali, e da allora non sono più sceso dalla sella. È una delle mie grandi passioni, anche legata allo scoutismo: tanta strada, tanto trekking». Un giorno, l’illuminazione: perché non unire questo amore per la strada con l’idea antica del pellegrinaggio? Nasce così il progetto di percorrere la Via Francigena, in solitaria per lunghi tratti, per poi condividere le ultime tappe con un amico ciclista incontrato a Siena. Un’idea che unisce sport, spiritualità e memoria.

«La strada è importante. Ti fa capire tante cose, ti aiuta a comprendere la vita attorno a te. I fiori più belli non sono quelli di serra. Sporcarsi le mani e sudare è fondamentale: la strada è nel mio dna».

Da Crema a Roma: 850 chilometri, 9mila metri di dislivello, più di 100 chilometri al giorno, con almeno 15 chili di bagaglio sulle spalle. Un percorso impegnativo, reso ancora più intenso dalla volontà di assaporare ogni tratto, ogni salita e discesa, ogni incontro.

«C’è un po’ di sfida personale, certo. Mi sarebbe piaciuto avere un mese per andarci a piedi, ma ho deciso di farlo in bicicletta. E non ho mai pensato di mollare».

La Via Francigena non è solo una rotta. È un filo che lega popoli e secoli, che attraversa paesaggi e memorie. «Pensavo ai carolingi che affrontavano quei sentieri tra insidie e briganti, alle abbazie costruite per accogliere i viandanti. Oggi, chi percorre la Francigena non lo fa per turismo, ma con un significato profondo. Ho voluto capire davvero lo spirito dei pellegrini di allora».

Incontri preziosi e momenti di intensa umanità hanno punteggiato il cammino. Come quei ragazzi inglesi che si sono fermati per offrire aiuto, o il silenzio magico della statale al Passo della Cisa, dove solo gli scoiattoli attraversavano la strada. «I pellegrini condividono uno spirito comune, hanno una sensibilità simile. E poi c’è la fede, che è il motore più importante. I turisti spesso passano, indifferenti. I pellegrini, invece, si riconoscono. Si parlano anche senza parole».

E come in ogni viaggio vero, non sono mancati i momenti di difficoltà, tra il traffico della Cassia e i su e giù infiniti della Val d’Orcia e della Val d’Elsa. Ma anche la scoperta: siti etruschi, l’antica Luni, un’Italia minore e profondissima. «Baden Powell diceva che non esiste maltempo, ma solo un cattivo equipaggiamento. È lo spirito che conta. E il viaggio mi ha restituito il valore del tempo, della lentezza, della riflessione».

Il momento più emozionante? L’arrivo a Roma, ovviamente. «In via della Conciliazione ci siamo commossi. Il colonnato del Bernini ti abbraccia, come un amico che ti aspettava. È stato un arrivo pieno di fede, condivisione e umanità. Dopo la prima apparizione pubblica del Papa, ho incontrato tantissimi devoti. È stato il segno più forte che l’obiettivo, sì, era stato raggiunto. Ma quello che davvero conta è il percorso».

Alla fine, Bressanelli porta a casa molto più di chilometri e fatica: porta la convinzione che si possa ancora ‘staccare la spina’, rallentare, guardarsi attorno e dentro. «Si può fare tanto per tutti. Dobbiamo lavorare per un mondo migliore. Questo è, in fondo, il senso del Giubileo della Speranza».

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