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CREMONA. NELLE AULE DI GIUSTIZIA

«Quelle sono schifezze, non so da dove vengono»

La difesa in tribunale dell’uomo accusato di detenzione di video e foto pedopornografiche

Francesco Gottardi

Email:

fgottardi@cremonaonline.it

21 Maggio 2025 - 19:54

«Quelle sono schifezze, non so da dove vengono»

CREMONA - «Per me quelle sono schifezze, quando le ho viste le ho cancellate. Non so come siano arrivate sul mio dispositivo». Si è difeso così, oggi in tribunale, l’imputato nel processo per la detenzione di materiale pedopornografico.

Le indagini erano scattate nell’ambito di un’operazione nazionale per contrastare la diffusione dei materiali shock e avevano portato, nel 2023, a una perquisizione anche nella casa del cittadino cremonese. Un insospettabile che, per l’accusa, avrebbe scaricato sui propri dispositivi, ma non diffuso, materiali spaventosi. La procura contesta all’uomo 60 immagini e 59 video, in parte scaricati e in parte visualizzati temporaneamente.

L’analisi forense del tablet dell’imputato aveva fatto emergere che il materiale era stato scaricato in soli 17 minuti, la sera dell’11 maggio 2023, attraverso un gruppo Telegram. Secondo l’accusa, l’imputato avrebbe salvato 18 immagini nella galleria del dispositivo, mentre le altre avevano lasciato traccia nel cestino. L’investigatore ha spiegato che l’adesione a questi gruppi avviene spesso tramite link condivisi in modo casuale: «Basta un clic per entrare, ma anche disinstallare l’App non cancella le tracce», ha sottolineato, evidenziando come molti utenti credano erroneamente di eliminare ogni prova rimuovendo Telegram, ormai noto alle cronache come canale di diffusione di materiali illeciti.

In aula l’imputato, un uomo sposato con un figlio disabile, ha confuso più volte Instagram e Telegram nella sua ricostruzione. Rispondendo alle domande di pm e legale della difesa l’uomo ha confermato: «Sì io avevo l’applicazione di Telegram, ma non ero iscritto a quei gruppi. Per me quelle sono schifezze, non so come siano finite sul tablet». E rispetto alla perquisizione l’uomo ha ribadito di non aspettarsi nulla: «Il tablet era in bella vista sul comò, così come i telefoni e il computer erano accessibili». Non si sentiva di aver nulla da nascondere. Interrogato in merito dall’avvocato l’uomo ha confermato che «era già capitato in passato di cercare video espliciti, ma con donne adulte». E ha ripetuto «per me quelle che sono state trovate sono schifezze». Eppure l’accusa gli contesta non solo di aver visionato quel materiale, ricevuto tramite le chat dedicate sull’applicazione di messaggistica, ma di aver scaricato una parte di quei video.

La difesa che sostiene l’estraneità ai fatti ora si concentra sulle responsabilità: non è esclusa, stando almeno alle domande poste all’imputato, l’ipotesi di una responsabilità del figlio. «Sì – ha dichiarato l’uomo – sa usare i dispositivi, alla sua maniera diciamo. Io di solito glieli tolgo perché succede sempre qualche pasticcio ma non posso controllarlo tutto il giorno». L’uomo non nega di averle viste «ma quando le ho viste le ho subito cancellate».

L’udienza è stata rinviata al prossimo 18 giugno per le discussioni delle parti, poi si arriverà a sentenza.

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