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CREMONA

Botte e minacce a un dipendente: titolare condannato

Due anni e sei mesi di reclusione e 5mila euro di risarcimento è la sentenza nei confronti del capo, accusato di aver preso un sottoposto a calci e pugni mandandolo al Pronto soccorso

Francesca Morandi

Email:

fmorandi@laprovinciacr.it

08 Maggio 2025 - 18:59

 I buoni pasto solamente ai magistrati

Il tribunale di Cremona

CREMONA - Il giudice oggi ha condannato a 2 anni e 6 mesi di reclusione Abdoulaye Seydu, senegalese di 51 anni, titolare di una ditta nella Bergamasca, accusato di lesioni aggravate e minacce a un suo dipendente, un albanese di 54 anni che reclamava il diritto ad essere pagato e di non trattarlo come «uno schiavo». Accusato, il capo, di averlo preso a calci e pugni, mandandolo al Pronto soccorso con «la frattura alla parete inferiore dell’orbita»: 25 giorni di prognosi saliti a 52 a seguito dell’intervento al quale il lavoratore si era dovuto sottoporre.


Il giudice ha inoltre condannato l’imputato a risarcire con 5 mila euro (una provvisionale) la vittima, che si era costituita parte civile con l’avvocato Gianfranco Ceci. L’ex datore di lavoro era assistito dall’avvocato Massimo Nicoli. I fatti risalgono al 18 ottobre del 2023, mercoledì, in uno dei cantieri in cui stava lavorando l’impresa del senegalese. «Ti ammazzo, questo è il tuo ultimo giorno di vita», la minaccia al dipendente, che si era lamentato di essere sfruttato e non retribuito.


Il 17 aprile scorso, il lavoratore aveva raccontato al giudice: «Tutti gli attrezzi che utilizzavamo per lavorare erano nostri. La ditta non ci forniva nulla, nonostante i nostri solleciti». Anche per il trasporto da Romano di Lombardia alla provincia di Cremona, i lavoratori utilizzavano le loro vetture senza che venissero rimborsati. E poi, i ritardi e le omissioni sullo stipendio: «Non pagava, non ci dava la busta paga da mesi».


Quel 18 ottobre, il datore di lavoro avrebbe dovuto portare le buste paga arretrate: «Sono andato da lui a chiederle. Ma lui mi ha risposto ‘Pezzo di m... non rompermi i c... e vai a lavorare’». Ma quella volta l’operaio, esasperato dai continui rinvii nella consegna dello stipendio, non era più disposto a tollerare: «No, io non sono un tuo schiavo. Se non mi paghi prendo la macchina e me ne vado». Per l’accusa, il datore di lavoro aveva reagto con violenza.

«Ti ammazzo, stai zitto» per poi avventarsi contro l’operaio, sferrandogli pugni in faccia. Il lavoratore era caduto a terra. Il capo aveva continuato a colpirlo con calci sul costato. Allertati dalle urla, erano intervenuti alcuni residenti del condominio in cui era allestito il cantiere e tre lavoratori. Erano stati immediatamente chiamati i carabinieri e l’ambulanza. «Quando mi sono tirato su, l’ho visto che era chiuso in macchina – aveva ricordato l’operaio – ma quando ha sentito arrivare i carabinieri è scappato». La scorsa udienza, erano stati sentiti anche due colleghi del lavoratore intervenuti sul posto a sedare l’aggressione. I testimoni avevano confermato le minacce e l’aggressione.

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