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L'ADDIO IN CATTEDRALE

Una seconda Pasqua per Papa Francesco: «Un estremista di Dio»

Partecipata celebrazione funebre per il Pontefice in Duomo. Il vescovo Napolioni: «Lui si sfiniva per dirci che la compassione di Gesù è il motore della storia umana»

Gianpiero Goffi

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redazione@cremonaonline.it

22 Aprile 2025 - 21:02

Una seconda Pasqua per Papa Francesco: «Un estremista di Dio»

CREMONA - L’antifona Lux aeterna e il De profundis alla Comunione (molti i fedeli che l’hanno ricevuta), il delicato In Paradisum alla fine, propri di una messa di suffragio; ma più che una celebrazione funebre è stata una liturgia pasquale quella di oggi pomeriggio in Cattedrale in morte di papa Francesco. Bianchi i paramenti dei concelebranti — i vescovi Antonio Napolioni, Dante Lafranconi, Carmelo Scampa, diversi sacerdoti —, il canto del Gloria, le letture del martedì di Pasqua, con l’apparizione del Risorto alla Maddalena. Nel banco delle autorità il prefetto Antonio Giannelli, il questore Ottavio Aragona, il colonnello comandante dei carabinieri Paolo Sambataro; un Duomo gremito di uomini e donne di varia età, della città e non solo, nelle navate e nei transetti.

«Una partecipazione eloquente», ha osservato monsignor Napolioni, che rivela affetto, gratitudine, fede, preghiera per un Papa che sempre domandava di pregare per lui e che ora continua a pregare per noi, e che si è speso fino all’ultimo, offrendo la sua vita per la pace. «Chi ci separerà dal suo amore?», diceva il canto d’ingresso tratto da San Paolo, certo riferendosi a Cristo, ma che il vescovo, iniziando l’omelia, ha ritenuto applicabile anche al Santo Padre defunto in una «liturgia che ci aiuta a far vincere la luce sul buio».

Il Signore — ha premesso — conosce il senso di un’esistenza, anche quella di un Papa, al di là di quanto ne possano dibattere in questi giorni gli opinionisti. Il discorso di Napolioni si è articolato sulla domanda di Gesù alla Maddalena (Perché piangi?), sul suo invito a non «trattenerlo», e sulla richiesta dei giudei a Pietro negli Atti degli apostoli: «Che cosa dobbiamo fare?».

Sul primo punto, effettivamente accompagnato ieri dal pianto di un bambino, dopo aver ricordato che papa Bergoglio aveva elevato a festa, come quelle degli apostoli, la memoria di Maria Maddalena, la prima a fare esperienza del Risorto, riconosciuto quando la chiamò per nome, ha aggiunto che talvolta Francesco «ci ha stancato, ci ha sfinito perché si sfiniva lui per dirci che la compassione di Gesù è il motore della storia umana», compassione per i poveri, per i migranti e di cui abbiamo bisogno «anche noi peccatori, con il rammarico di non averlo seguito abbastanza».

Non a caso egli presentava spesso la Chiesa come «donna, sposa, madre»: l’austero gesuita arcivescovo di Buenos Aires, da Papa era sembrato trasformarsi dando spazio alla «tenerezza»: le caramelle ai bambini (lo ha fatto ancora domenica in piazza San Pietro), le carezze ai malati, le telefonate, il ringraziare di persona, la cortesia e l’umanità che lo hanno contraddistinto. E dunque non meravigliano — ha osservato il presule — la commozione e il pianto di molti in questi giorni e che si ripeteranno sabato ai funerali, perché il «dolore e l’amore degli uni chiama quello degli altri».

Quanto al «trattenere» e riferendosi alle circostanze della morte del Pontefice, ha ricordato che pur desiderandolo per i nostri cari «non possiamo trattenere la vita, perché essa è chiamata ad andare al di là del suo confine. Il Papa ha compiuto il suo salto in obbedienza a sorella morte e a Colui che l’ha trasformata in grembo di vita eterna». Richiamando poi il concetto espresso nel Venerdì santo, il vescovo ha definito Francesco «un estremista di Dio, non progressista o conservatore, ma estremista del cielo e delle più basse profondità della terra, della preghiera, della dipendenza continua dal Vangelo».

«Che cosa dobbiamo fare?», si è chiesto infine, quale mandato papa Francesco lascia ai cristiani? Quello di essere «discepoli missionari, non spettatori di cose religiose», convertendosi e seminando il Vangelo come lui ha fatto «senza pretendere, senza giudizi, con la vita e se necessario con la parola».

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