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«Mio zio prete ucciso dalla camorra»

Zara, docente all’Einaudi e nipote di don Peppino Diana: «L’illegalità attecchisce nell’ignoranza»

La Provincia Redazione

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09 Aprile 2025 - 08:27

«Mio zio prete ucciso dalla camorra»

CREMONA - «L’illegalità attecchisce nell’ignoranza»: la vicenda di don Peppino Diana raccontata dal nipote Francesco Zara agli studenti dell’Einaudi. Zara ha una laurea in Giurisprudenza ed è un docente dell’istituto Einaudi: è uno dei tanti che si dedicano al sostegno. Ma la sua storia è unica, perché Francesco è nipote di don Giuseppe (Peppe o Peppino) Diana, vittima della camorra ed è nato circa venti giorni prima dell’omicidio dello zio materno. L’insegnante ha raccontato la triste vicenda di famiglia ad alcune classi della scuola di via Bissolati: agli alunni delle quarte A Commerciale e B Grafica e Comunicazione.

La sua testimonianza ha fatto centro. Il 19 marzo 1994, un sicario entrò nella chiesa di San Nicola di Bari, a Casal di Principe, dove don Peppe Diana si era recato con un amico, e sparò al sacerdote, che venne freddato con cinque colpi di pistola. Per una beffa del destino, don Peppe perse la vita quando avrebbe dovuto festeggiare l’onomastico. Fu un evento eclatante, segno della tracotanza e dello strapotere della Camorra in quel periodo: il delitto venne infatti consumato all’interno di un edificio di culto.

Si era messo in testa di offrire ai ragazzi di Casal di Principe un futuro alternativo a quello promesso dai boss locali, che li arruolavano facendo piovere mance spropositate a fronte di piccoli favori e lo dichiarava apertamente nelle sue omelie domenicali. Don Diana era la guida spirituale del gruppo scout aversano, cui teneva moltissimo e per il quale organizzava campeggi e gite al mare. Con i giovani discuteva spesso di calcio, in quanto era un grande tifoso del Napoli. Nel 1991, in occasione della Messa di Natale, ebbe l’ardire di far trovare sui banchi un suo scritto, una lettera: «Per amore del mio popolo» e la Camorra non la prese per niente bene.

Va detto che, negli anni Novanta, Casal di Principe era in balia della malavita organizzata. In questo centro a vocazione agricola ed edilizia, tutti avevano imparato che è meglio farsi i fatti propri: nessuno vedeva, sentiva e, men che meno, parlava. La camorra si sentiva onnipotente al punto di non curarsi del conoscente di don Peppe, che, pur avendo assistito all’assassinio, non venne ucciso. Nella mente dei malavitosi, la possibilità che l’uomo potesse rivolgersi alle forze dell’ordine era pari a zero.

Ed invece, per la prima volta, l’impossibile diventò realtà: il crimine fu denunciato ai carabinieri e, durante il funerale di don Peppe, Casal di Principe si ricoprì di lenzuola bianche. Da allora, la ricorrenza di San Giuseppe è divenuta un appuntamento fisso, in cui la cittadina viene invasa da studenti e da scout in divisa azzurra. Zara ha concluso con alcune raccomandazioni agli allievi: «Studiate — ha affermato — perché l’illegalità attecchisce nell’ignoranza. Non lasciatevi trascinare o irretire dai soldi facili e prestate attenzione a chi frequentate».

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