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DA CREMONA A NEW YORK

Nell’America di Trump «il fumetto non morirà»

Simone Riccardi, grafico uscito dal Munari, racconta la sua esperienza negli Usa

La Provincia Redazione

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08 Aprile 2025 - 05:10

Nell’America di Trump «il fumetto non morirà»

CREMONA - Da Cremona alla Grande Mela e ritorno, per amore di un’arte tutt’ora in grado di coinvolgere un pubblico vasto ed eterogeneo, con il suo linguaggio universale. Simone Riccardi (classe 1997, diplomato al Liceo Artistico Munari) è oggi fumettista, grafico, illustratore e insegnante di fumetto e illustrazione a bambini ed adolescenti al Centro Fumetto Andrea Pazienza di Cremona. Da Paul Auster a Woody Allen, da Will Eisner a Jonathan Franzen, la sua educazione ‘sentimentale’ e artistica è passata attraverso la fascinazione per quell’America che è porto di mare, e che trova il suo centro nevralgico proprio nella città dell’immigrazione, dell’intreccio di storie e di esistenze: New York. Lì, sotto l’egida di grandi vignettisti, nel 2020, Riccardi ha conseguito il Diploma in Illustrazione Editoriale alla Visual School of Arts. Ma cinque anni dopo, l’America dei grandi narratori, appare un Paese profondamente mutato. Colpito al cuore dai dazi di Donald Trump, anche il fumetto d’oltreoceano (che proprio negli Stati Uniti, grazie alle storiche case editrici che ne hanno fatto la storia, ha vissuto la sua età dell’oro) si affaccia verso un futuro incerto: a fronte del quale, neppure il mercato italiano può dormire tranquillo, in virtù della stretta codipendenza con quello Usa.

Cinque anni sono intercorsi, dalla conclusione del suo percorso accademico. L’America di oggi è lo stesso Paese?
«Certamente no. Nel mio ultimo soggiorno, che risale al gennaio di questo stesso anno, ho respirato un clima profondamente differente. Del mio primo viaggio in America, all’età di 14 anni, ricordo ancora il forte impatto di Ellis Island: nessun altro luogo rappresenterebbe meglio la capacità dei grandi intellettuali newyorchesi di raccontare l’esistenza epica degli ultimi. Ma l’America del 2025, forse, ha messo in pausa questa sua tensione al sogno: è un Paese fiaccato dalla pandemia, in cui anche lo sguardo degli artisti sta cambiando. Il retroterra artistico di New York, che è sempre stato libero, sfrontato, curioso, sta lottando contro un presente in cui l’élite culturale vede, forse, indebolirsi la propria influenza».

La fumettista premio Pulitzer Ann Telnaes si è dimessa dal Washington Post a gennaio, dopo che una sua vignetta, con il presidente Donald Trump ed il magnate Jeff Bezos (proprietario del giornale), era stata rifiutata. Come reagiranno a eventuali nuove censure gli artisti d’oltreoceano?
«Mi piace sempre dire che l’America è un Paese giovane con vecchi leader: e di giovane, ha anche la forza. Non sono trascorse che poche settimane, per esempio, da quando Steve Brodner, mio professore alla Visual School of Arts e influente vignettista satirico, è sceso a sua volta in piazza, in difesa della libertà espressiva. In questo senso, sono ottimista: credo che gli artisti americani reagiranno ad ipotetiche censure semplicemente trovando nuove modalità per far sentire la propria voce».

I numerosi dazi sulle importazioni di Trump finiranno per colpire anche il circuito del fumetto. Che cosa aspettarci qui in Italia, in considerazione del forte legame tra i due mercati?
«I dazi di Trump rappresenteranno senz’altro un grave ostacolo, soprattutto per le piccole case editrici. Negli Stati Uniti, i macchinari per la stampa sono obsoleti, e la carta viene spesso importata, per ragioni fiscali, dal Canada o dalla Cina. I colossi come Marvel, DC, & Image riusciranno a fare fronte all’inflazione, seppure con fatica. Molti titoli meno noti, provenienti dall’editoria indipendente (ma non per questo di qualità inferiore), invece, collasseranno, finendo per scomparire purtroppo anche dal nostro mercato».

Oggi, se possibile, tornerebbe negli Stati Uniti?
«Credo che, ad oggi, la via più saggia sia quella prudenziale: osservare ed attendere, proprio come un saggio orientale. Alla fine del 2020, la pandemia stava già colpendo duramente, con la crisi economica che ha portato con sé, il settore artistico statunitense, fatto di freelance privi di ruoli fissi e di contratti codificati. Al momento, sono più che altro i disegnatori americani a spostarsi verso l’Europa: siamo percepiti come l’ultima roccaforte di libertà, di cultura, di democrazia».

Il grande Milo Manara non ha dubbi: «Il fumetto è una cosa seria». Quali sono i temi con cui non rinunciare a confrontarsi, perché continui ad esserlo, tanto a Cremona quanto a New York, anche in futuro?
«Sebbene ritrovandosi a dover lottare, io credo che il fumetto difficilmente smarrirà il segreto della propria longevità: quella di essere un linguaggio trasversale, in grado di parlare a tutti. Il fumetto è nato dal basso: lungamente accostato ad un registro infantile, è invece espressione di un’arte universale e priva di barriere, a cui non servono che carta e matita. La sua capacità di rappresentare un mezzo di comunicazione di massa, unitamente alla ricerca dei fumettisti di formule espressive e di storie sempre nuove, gli consentirà di continuare ad entrare nelle nostre case, di catturare la nostra attenzione: di divertirci e di commuoverci. Al Centro Fumetto Andrea Pazienza di Cremona, dove insegno, ogni giorno mi imbatto in adolescenti che leggono e collezionano fumetti giapponesi, i manga. Penso che il suo senso profondo di bellezza derivi, in fondo, proprio da questo. Poco importa da quale luogo del mondo provenga: se vogliamo prestare attenzione, il fumetto avrà sempre qualcosa di nuovo da poterci raccontare».

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