L'ANALISI
31 Marzo 2025 - 17:19
L'avvocato Anila Halili e il tribunale di Cremona
CREMONA - Era nata da soli 29 giorni, quando il 21 gennaio di un anno fa è morta «per una ipotizzata bronchiolite e aree disventilate». L’avvocato Anila Halili è il legale che per conto della mamma della piccola, si è opposta alla richiesta di archiviazione della Procura nel fascicolo aperto contro ignoti sul decesso della bimba.
All’udienza di oggi, l’avvocato ha chiesto al gip di ordinare alla Procura «una indagine suppletiva, partendo da una nuova consulenza medica scientifica». Sulla richiesta il gip si è riservato.
«Ho ribadito — ha spiegato l’avvocato Halili al termine dell’udienza — che questa indagine deve assolutamente proseguire ulteriormente. Quanto meno per la madre della piccola, che non ha mai saputo i veri motivi della morte della figlia. Come ho scritto anche nella opposizione alla archiviazione, le fu solo spiegato che il cuore della piccola aveva smesso di battere. Neppure i medici, all’epoca, riuscirono a darsi una spiegazione certa».
L’avvocato prosegue: «Sappiamo che la piccola era una bambina sana e che solo un quadro di bronchiolite lieve moderata non poteva condurre alla morte. Manca, nel compendio probatorio, una specifica indagine in tal senso e, quindi, si ritiene necessaria una perizia medico- legale che chiarisca perché il decesso sia avvenuto, se vi sia una eventuale correlazione tra l’arresto cardio-respiratorio ed il virus respiratorio diagnosticato e se la paziente sia stata adeguatamente curata in riferimento ai protocolli sanitari del caso. Risulta evidente come la condotta medica possa configurare il nesso di causalità in relazione all’evento morte. Nel caso di specie, l’evento morte potrebbe configurare una o più fattispecie di reato». L’avvocato Halili descrive le condizioni in cui si trova la mamma: «La donna manifesta gravi stati d’ansia, malessere e stress post traumatico e non accetta, ancora ad oggi, la morte della figlia».
Dopo la visita di controllo, il 9 dicembre mamma e piccola erano state dimesse. Come aveva già spiegato l’avvocato, «successivamente, la mamma aveva contattato il centro pediatrico di via Dante per sottoporre la bimba alla prima visita pediatrica assegnata, senza alcun successo». Il 6 gennaio successivo, «la piccola aveva evidenziato problemi respiratori, la mamma l’aveva portata al Pronto soccorso; la piccola non era stata trattenuta in osservazione: era stata dimessa con la diagnosi di una ‘lieve ostruzione nasale in lattante sano’».
Il 15 gennaio, la prima visita pediatrica. «La madre - aveva sottolineato l’avvocato — aveva insistito a riferire ai medici i problemi respiratori della figlia, ma anche in questo caso era stata rassicurata. Solo tre giorni dopo, la bimba aveva ripresentato ancora gravi problemi respiratori». La mamma era tornata al Pronto soccorso. «Il sanitario di turno l’aveva rassicurata sulle condizioni della piccola. Per il medico, stava migliorando e di lì a qualche giorno sarebbe stata dimessa. Il 21 gennaio è morta».
L’avvocato Halili lo ha ribadito anche oggi: «La madre non ha mai saputo i veri motivi della morte della figlia. Le fu spiegato solamente che il suo cuore aveva smesso di battere e neppure i medici ne sapevano spiegare il motivo». Nella battaglia legale, l’Asst aveva replicato, sostenendo che «la causa di morte è nota alla famiglia dal momento in cui la documentazione del riscontro diagnostico è stata trasmessa all’avvocato stesso in data 9 maggio 2024. Durante gli accessi e il ricovero in ospedale è stata prima ipotizzata e poi confermata una diagnosi precisa, certa e inequivocabile. Il percorso di cura è stato scrupoloso e condiviso con i genitori dal momento dell’arrivo in pronto soccorso. Nel rispetto della loro legittima preoccupazione, sono stati accolti con empatia e informati con chiarezza, passo dopo passo. Dalla documentazione sanitaria emerge una presa in carico globale e scrupolosa attraverso il trattamento corretto della patologia che affliggeva la piccola, nel rispetto delle linee guida e delle buone pratiche, senza alcuna sottovalutazione». Infine, «le evidenze sottolineate dall’avvocato non trovano riscontro nella realtà oggettiva e documentale dei fatti».
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