L'ANALISI
19 Marzo 2025 - 18:53
CREMONA - Lo hanno arrestato ancora lì - a Bergamo - come a febbraio di un anno fa. Allora, in un B&B. Stavolta, in un appartamento nel centro della città. Sabato scorso, lo hanno portato in carcere, lo stesso: via Gleno. Ancora per stalking. Ancora per revenge porn. La vittima è sempre lei, Maria (nome di fantasia, ndr), cremonese, l’ex compagna che a primavera del 2023 lo aveva lasciato dopo due anni di convivenza e il progetto di sposarsi.
Nemmeno cinque mesi di galera e una condanna a 2 anni arrivata il 18 luglio di un anno fa (rito abbreviato) lo avevano fermato. Murat, 54 anni, turco, un passato da fotografo, era tornato nella vita di Maria. Da subito. Già dal giorno della sentenza. Riguadagnata la libertà, raccolte le sue cose in carcere, 5 ore dopo l’uomo aveva riattivato lo smartphone.
Luglio, agosto, settembre, ottobre, novembre, dicembre, gennaio, febbraio, fino a sabato scorso, lo stalker ‘fantasma’, un ‘mago tecnologico’, ha provato ancora a distruggere la vita di Maria. Ha creato falsi profili. Spacciandosi per lei, ha mandato in giro le sue foto e video intimi ai familiari, agli amici, ai clienti, ai colleghi di lavoro della vittima.
Sabato, la squadra mobile di Cremona, con la preziosa collaborazione dei colleghi di Bergamo, lo ha trovato e gli ha notificato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip su richiesta della Procura diretta da Silvio Bonfigli. Titolare del fascicolo è il pm Giannangelo Maria Fagnani. «Ero terrorizzata. Ci ho messo tanto a rifarmi una vita. E per l’ennesima volta ho visto che lui la stava frantumando nuovamente. Non è semplice, ma ora sento di poter nuovamente respirare», commenta Maria.
Murat non è mai sparito dalla sua vita. Nel processo lei si era costituita parte civile con l’avvocato Michele Tolomini. L’uomo, condannato anche a risarcirla con 25mila euro, era tornato libero il 18 luglio, quando Maria era uscita dal Tribunale «delusa e in panico: se ricomincia?» Non si era sbagliata.
Torna a quel giorno, la donna: «La sentenza era stata emessa verso mezzogiorno. La sera, lui ha provato a ricontattarmi attraverso Instagram, perché io, per l’ennesima volta, avevo cambiato il numero di smartphone. Da lì, è stata una escalation. Inizialmente, ha usato il suo profilo, quello che io avevo riferito nella prima denuncia alla polizia. Poi, non so come, ha scoperto il mio numero di telefono: 800 chiamate al giorno, anche a mia madre. E messaggi su WhatsApp. Più che messaggi, erano le mie foto intime: anche 900 ‘messaggi’ in un giorno. Lui apriva in continuazione chat diverse con numeri diversi».
A febbraio di quest’anno, Murat ha alzato il tiro. «Ha cominciato a mandare le mie foro intime ai miei amici, ai miei colleghi e clienti. Ed è riuscito a raggiungere persone senza risalire ai miei contatti diretti. Centinaia di persone. Tutti hanno visto tutto. Le ha viste il mondo. Mi chiamavano: ‘Mi è arrivata questa foto, quest’altra’. Mi vergognavo come una ladra, però tengo a sottolineare che io quelle foto le ho fatte per l’uomo che amavo e con il quale dovevo farmi una famiglia. E, invece, si è rivelato per quello che è».
In tutti questi mesi, Maria ce l’ha fatta a tenere i nervi saldi. «È stato difficile, non nego che in alcuni momenti stavo per crollare. Quando lui ha ricominciato con le foto di me nuda, stavo per perdere la testa, ma mi sono sempre ripromessa di non crollare e di affrontare questa cosa in maniera oggettiva, cercando di rimanere lucida, senza farmi trascinare. Mantenere la calma è stata una delle cose più difficili».
A dicembre scorso, Maria è tornata davanti al pool della squadra mobile che si occupa dei reati da ‘codice rosso’. Lo stesso che a inizio 2024 aveva raccolto la sua prima querela, da cui aveva preso le mosse l’indagine, culminata nell’arresto e nella successiva condanna dell’uomo. Maria lo ha denunciato per la seconda volta, via via integrando la querela. Sabato, dopo giorni di ricerche, Murat, apparentemente privo di domicilio, è tornato in carcere. La complessa e articolata attività di indagine della Procura, ha consentito di esaltare gravi risultanze probatorie, alla luce delle quali il gip di Cremona ha disposto la custodia cautelare, appunto in carcere.
«Voglio ringraziare la squadra mobile che sin dall’inizio mi è sempre stata vicina, mi ha supportato. Sono tornata a respirare», conclude Maria. Il provvedimento è stato emesso sulla scorta degli elementi probatori allo stato acquisiti; pertanto, in attesa della definitività del giudizio. «L’attenzione della Polizia di Stato sui reati di violenza di genere è massima, sia in ambito amministrativo, con l’emissione delle misure di prevenzione dell’ammonimento del questore, sia in ambito investigativo», hanno sottolineato in questura.
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