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CREMONA. LOTTA ALLA MAFIA

Il racconto della strage di Capaci: «La ricerca della verità continua»

La testimonianza di Tirindelli, membro della scorta, davanti agli studenti

Francesco Gottardi

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fgottardi@cremonaonline.it

06 Marzo 2025 - 18:27

Il racconto della strage di Capaci: «La ricerca della verità continua»

CREMONA - «Le mafie si devono combattere su più piani». E un modo, «fondamentale», per farlo, «è continuare a parlarne, a raccontare la storia e a denunciare». E oggi, in sala Maffei della Camera di commercio, gli studenti delle classi quarte di diversi istituti cittadini hanno avuto l’occasione di entrare nel vivo di un pezzo di quella storia, grazie al racconto di un testimone d’eccezione come Luciano Tirindelli, membro della scorta del magistrato Giovanni Falcone scampato all’attentato di Capaci.

Un incontro denso di memoria, riflessioni sul coraggio spesso solitario del giudice antimafia e su quel botto delle 17,58 del 23 maggio 1992, «un momento che si è fissato in maniera indelebile nella memoria degli italiani». In maniera particolare in quella di Tirindelli, che da allora si dedica alla divulgazione del lavoro di Falcone e alla ricostruzione della verità sul rapporto tra organizzazioni mafiose ed elementi dello Stato.

Tirindelli conobbe il giudice Falcone subito dopo il maxiprocesso di Palermo in cui, proprio grazie all’ostinato lavoro investigativo e di denuncia dell’immobilismo fino ad allora vigente, Falcone ottenne «oltre 500 condanne per un totale di più di 2.000 anni di carcere». In quegli anni «il fenomeno mafioso era in netta espansione, Falcone e Borsellino lo vedevano chiaramente ma, in un primo momento, lo stesso tribunale di Palermo rifiutava di riconoscere la realtà». Gravi inadempienze nella repressione del fenomeno mafioso che Falcone, dimostrando tutto il suo senso dello Stato, denunciò sempre. «La mafia non è affatto un principio – ha detto Tirindelli citando Falcone –: è un fatto storico che ha avuto un inizio e avrà certamente una fine».

Per arrivarci «non dobbiamo pretendere eroismo dai cittadini, ma mettere in campo tutte le migliori forze dello Stato». Una scelta di impegno e di coraggio che troppo spesso mancò in alcuni apparati dello Stato. Come nel caso dell’esclusione del giudice dalla guida del Csm: «Quello era il banco di prova per la politica per poter riconoscere l’opera svolta da Falcone, per dargli strumenti per condurre una vera guerra alla mafia. Ma si é preferito non farlo».

E Falcone lo capì subito: «Disse ‘quella votazione mi ha consegnato alla mafia’». Ma sulle ragioni di quelle decisioni, che isolarono il giudice, poche sono le certezze e troppi gli interrogativi irrisolti.
«C’è un’indubbia convergenza di interessi che portarono alla decisione di eliminare Falcone. Agli uomini di Cosa nostra è probabile che si affiancò qualcuno di estraneo alla mafia. Ma questi nomi non sono mai emersi».

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