L'ANALISI
24 Febbraio 2025 - 08:27
Cinzia Azzini e uno scorcio del Teatro-Museo a Figueres
CREMONA - È dove sognava di stare. «Ho trovato il mio posto». Il posto di Cinzia Azzini, 44 anni, ex studentessa del Manin, è la Spagna, è la Fondazione Gala-Salvador Dalì che gestisce il prestigioso museo voluto, progettato, creato dal visionario e poliedrico maestro del surrealismo. Le è stato assegnato un compito speciale, affascinante: «Cerchiamo di comunicare le molte dimensioni, anche quelle meno conosciute, di Dalì a tutti ma in particolare ai più giovani, liberandoli dalla paura di accostarsi a un personaggio così complesso e stimolandoli a dare sfogo alla loro capacità critica, lasciarsi portare dalla creatività, perdersi nell’arte».
In Catalogna l’appassionata del grande pittore e scultore è arrivata partendo da Pontevico, dov’è nata. «Volevo fare il linguistico. Già, ma Brescia o Cremona? Ho scelto Cremona, una città splendida, un istituto di alto livello. Molti, allora, allo studio dell’inglese e del francese accompagnavano quello del tedesco. Io, invece, ho preferito lo spagnolo, mi piacciono le lingue romanze, mediterranee». È rimasta in contatto con la sua prof. di spagnolo, Maria Rita Scolari. «Non finirò mai di ringraziarla, mi ha aperto un mondo con le sue lezioni». Alla maturità l’allieva si è presentata con una ricerca sulla Beat Generation. Dopo il diploma, lo sbocco naturale: Lingue e Letterature straniere a Parma. «Avevo le idee chiare, chiarissime sulla facoltà da frequentare». L’Erasmus, nel 2000, l’ha portata per la prima volta nella patria di Calderòn de la Barca e Cervantes, che aveva divorato da ragazza. «Ho optato non per la gettonatissima Barcellona, dove si restava per sei mesi, ma per la meno famosa Càceres, in Estremadura, perché la durata della permanenza era di un anno». Al ritorno, i primi lavori. «Sfruttando le mie competenze ho cominciato nel settore commerciale di alcune aziende e nelle agenzie di viaggio, ma la mia passione non trovava riposo in ciò che facevo. Avevo deciso di vivere in Spagna». Da una borsa di studio, la svolta. «C’era la possibilità di uno stage all’estero. Nella tesi di laurea mi ero occupata della letteratura di Dalì, come aveva affrontato la sua arte dal punto di vista dello scrittore, un aspetto non molto indagato nonostante sia un autore di primissimo piano. Quando lo si scopre sotto questa luce, non si finisce più di leggerlo. I due Dalì, quello delle arti figurative e quello della letteratura, sono accomunati dalle sue straordinarie capacità tecniche. Mi affascinava anche il fatto che ha scritto in catalano, castigliano, francese e inglese. Componeva in modo fonetico, secondo la pronuncia delle parole. La sua curiosità era sterminata».
Dopo aver sostenuto un esame per accedere alla borsa di studio, nel 2008 è sbarcata a Figueres, in Catalogna, città natale di Dalì e sede dell’omonima Fondazione. «È un’istituzione privata, senza nessun contributo pubblico, che ha tra le sue missioni l’acquisto di lavori di Dalì in giro per il mondo allo scopo di arricchire la collezione. Ho iniziato dall’archivio cercando articoli di stampa su di lui». Il cuore della Fundaciòn è il Teatro-Museo, inaugurato nel 1974, che contiene le opere più importanti del suo ideatore ed è esso stesso un’opera d’arte. «È la vera rappresentazione architettonica del suo talento. L’aspetto principale è quello enigmatico, legato al mistero. Dalì non ha pensato un museo tradizionale, in cui quadri e sculture sono disposti in ordine cronologico, ma secondo un suo criterio personale. Rifuggiva dalle spiegazioni. Diceva: il Museo è come un labirinto dove bisogna smarrirsi». Il secondo lato del ‘Triangolo Dalì’, come viene chiamato, è il castello medievale Gala Dalì di Pùbol, una quarantina di chilometri da Figueres, comprato e decorato dall’artista per donarlo alla moglie, Gala, la sua musa. «Era il rifugio di Gala. Quando lui glielo regalò, lei rispose di no perché ne voleva uno in Toscana. Ma in un secondo momento accettò, a una condizione: che per farle visita doveva ricevere un invito scritto». Infine, la Casa Dalì, a Portlligat, sulla Costa Brava. «Piccole capanne di pescatori che lui rilevò e adornò alla sua maniera surrealista. Era il suo luogo speciale».
La studiosa italiana è rimasta alla Fondazione passando dall’archivio a un’altra area: direzione generale. «Lavoravo con lo staff che si occupava di un progetto sul Dalì scultore». È poi diventata referente della comunicazione digitale. Dopo un corso specialistico, ha creato con i suoi collaboratori un suggestivo tour virtuale del Museo. «I primi a sperimentarlo sono stati i ragazzi del Liceo Luzzago di Brescia, seguiti dai 300 partecipanti a un congresso in Russia. Nelle due settimane iniziali di lockdown, abbiamo registrato 844.507 accessi, un successo enorme, inatteso. La gente chiusa in casa aveva bisogno di arte». Due anni fa un’altra tappa importante della sua carriera: il servizio educativo. «Sono responsabile del rapporto con le scuole. Ogni anno arrivano ventimila studenti da ogni parte del mondo, molti dall’Italia. Siamo tra i primi due musei d’arte più visitati della Catalogna e tra i primi cinque spagnoli. Accogliamo anche i bambini dai tre anni». Tre anni? «Certo. Come prima impressione sono loro, i più piccoli, a rimanere meno scioccati da Dalì. Questo perché non cercano la razionalità, ma entrano nel mondo onirico, un cosa naturale per loro. Sulla facciata del Museo decorata da Dalì c’è lui con la muta da sommozzatore che ha indossato durante una conferenza a Londra. Vestito in quel modo voleva dire: lascia la tua psiche fuori, immergiti in un'esperienza totalmente nuova. Dà grande soddisfazione vedere i giovani andarsene con un bagaglio maggiore di conoscenze perché hanno esercitato lo spirito critico e imparato a vivere la creatività». Lo ripete alle sue 14 guide: «Entrare qui è come passeggiare nella storia dell’arte. Accostarsi a Dalì è una sfida, bisogna accettare di guardare la realtà da un punto di vista diverso. Lui può piacere o no, si ama o si odia, ma è talmente ricco, ha toccato tutti gli stili. Ed è anche molto attuale, si è occupato di cinema e pubblicità, scienze e matematica».
La spagnola d’adozione torna a casa due volte all’anno, a Natale e d’estate. «L’Italia mi manca, sempre di più con il passare del tempo. Invito tutti gli studenti cremonesi a venire a visitarci e contattarci se hanno bisogno di informazioni su ricerche per la scuola». Lancia l’appello da là, la Catalogna, non lontano dal confine con la Francia, il suo posto.
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