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POVERTA' EDUCATIVA: IL REPORT

Analfabetismo digitale: pesa il gap città-paesi

Province smart: Cremona a quota 62,5%. Luci e ombre anche in base al reddito famigliare

Claudio Barcellari

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redazione@laprovinciacr.it

19 Febbraio 2025 - 05:30

Analfabetismo digitale: l’Italia è tra i peggiori

(Foto IA)

CREMONA -  Scuola della digitalizzazione? Ancora un sogno da costruire, per l’Italia come per Cremona. Nel 2023, meno della metà degli italiani (45,8%) possedeva competenze digitali almeno di base. Forse, anche perché le infrastrutture scarseggiano: solo il 35,7% degli edifici scolastici italiani nel 2023 dichiarava di possedere aule informatiche. Meglio in provincia di Cremona, dove, nel capoluogo, si arriva a quota 62,5%. Il dato sembra andare di pari passo con quello della povertà educativa: meno ragazzi studiano, meno sono le opportunità di potenziarsi nel mondo delle discipline STEM.

La pagella dei Paesi europei è pubblicata da Openpolis, che invita a non trascurare il dato. Senza un’adeguata formazione al mondo del digitale, infatti, i giovani saranno sempre più esposti a cyberbullismo, furto e diffusione di informazioni e contenuti personali. Il che è tanto più grave, se è vero che, stando a quanto afferma il report, 1 studente su 10 delle scuole secondarie italiane avrebbe subito episodi di cyberbullismo durante la pandemia.

alfabetizzazione

La lacuna formativa più profonda si troverebbe fuori dalle grandi città, nei piccoli comuni, in cui la quota di povertà è più elevata. «Dall’analisi dei dati a livello territoriale – illustra il report – emergono profonde disparità nella diffusione di questi spazi. Elementi particolarmente rilevanti riguardano il fatto che le aule di informatica sono meno presenti negli istituti che sorgono nelle zone rurali rispetto a quelli dei centri urbani medio-grandi. A questo aspetto si lega anche il fatto che tendenzialmente le aule informatiche risultano meno diffuse in quei territori che fanno registrare un’alta concentrazione di famiglie con figli e che possono fare affidamento su un solo reddito».

Il buco sull’attenzione al digitale, dunque, si ricollega anche al problema della formazione in genere, che è prettamente sociale: «Generalmente il livello di competenze informatiche tende a diminuire al calare del livello di istruzione – illustra il report – spesso tali divari sono legati anche alle disuguaglianze socio-economiche presenti tra le famiglie d’origine».

In Europa, in fatto di informatica, siamo tra i peggiori: terzultimi in classifica, con il 59,5% dei giovani con competenze di base, a breve distacco dalle ultime due (Bulgaria 52,3%, Romania 45,9%) e molto lontani dal podio, che include Finlandia (94,49%), Malta (91,82%) e Repubblica Ceca (90,21%). Tuttavia, i progressi dei giovani italiani in fatto di educazione digitale avanzano con velocità diverse a seconda della regione e del comune di provenienza.

È possibile farsi un’idea dello stato dell’arte mappando e registrando gli istituti scolastici che, nell’anno scolastico 2022-2023, hanno dichiarato di possedere un’aula di informatica all’interno delle loro strutture. Si scopre che le regioni più smart si concentrano nel nord del Paese: vince la Liguria con il 56,5%, seguita da Piemonte (52,6%) Valle d’Aosta (52,1%). In fondo alla classifica, invece, le regioni del centro sud: Abruzzo (24%), Campania (22%), Calabria (21,8%) e Lazio (18,1%).

Le differenze sono ancora più profonde osservando i dati provinciali: prendendo in considerazione i comuni capoluogo, «Il dato più alto in assoluto è quello di Pavia dove il 91,7% degli edifici scolastici è dotato di aule informatiche. Seguono Modena (87,7%), Alessandria (76,7%) e Treviso (75,9%). Viceversa le percentuali più basse si registrano a Latina (5,4%), Catanzaro (4%) e Cosenza (3,3%). Particolarmente basso anche il dato di Roma e Napoli che si fermano rispettivamente al 10,3% e al 15,7%». Ma i numeri peggiori derivano anche da una consistente indisponibilità di dati.

In provincia di Cremona, la maggior parte dei comuni più grandi mostra di superare la media italiana. Secondo i dati del 2023, nel capoluogo, 25 istituti pubblici su 40 hanno dichiarato di possedere un’aula di informatica (il 62,5%). Buoni anche i numeri cremaschi, secondo cui, tra le 44 scuole pubbliche del comune, 19 (vale a dire il 43,18%) avrebbero fatto lo stesso. Quote simili anche negli altri comuni maggiori, con Casalmaggiore, con 4 aule informatiche su 10 scuole, Castelleone (3 su 5), Soresina (2 su 3). Ottima, nel suo piccolo, l’informatizzazione a Soncino e a Rivolta d’Adda, dove tutte le scuole si sono attrezzate. Diverso il caso di Spino d’Adda, dove nel 2023 in nessuno dei 3 istituti del Comune c’era un’aula informatica.

CHIAPPA (UST): «INVESTIRE SULL’ALFABETIZZAZIONE DIGITALE DALLE ELEMENTARI»

LIM e aula di informatica a scuola: servono davvero per contrastare l’analfabetismo digitale? Secondo Imerio Chiappa, direttore dell’Ufficio Scolastico Territoriale di Cremona, ci vorrebbe nulla più che un cellulare e un po’ di inventiva. Perché relegare la tecnologia nel suo ghetto non è la soluzione, e implementare le risorse non significa saperle usare.
«Più che fossilizzarci sull’aula informatica – spiega Chiappa – o sul mero acquisto della LIM, oppure ancora fornire un computer personale ad ogni singolo alunno, dovremmo puntare all’alfabetizzazione informatica in generale. Anche solo utilizzando il cellulare che ciascun alunno ha in tasca siamo in grado di svolgere buona parte delle attività che hanno un impatto significativo sulle competenze digitali. Buona parte dei ragazzi sono già perfettamente in grado di farlo, e per questa via riescono a ritrovare elementi che a loro sono e saranno utili».

Nessun dogma, dunque, quando si parla di scuola della digitalizzazione. «La strumentazione può essere molto varia – obietta Chiappa – ma il problema rimane sempre lo stesso: se ho una Ferrari in garage ma non la so guidare, è come non averla. Il problema vero riguarda l’alfabetizzazione informatica in genere, che deve cominciare dalla scuola primaria». In questo ambito, però, le esperienze cremonesi sono assai difformi: «In qualche caso – spiega il direttore – si assiste a risultati interessanti e innovativi. Penso a realtà in cui i ragazzi stessi riescono a fare lezione, sfruttando gli strumenti digitali in modo positivo. In altri casi, però, siamo ancora fermi all’ora di informatica in cui si insegna agli alunni a usare word, solo ed esclusivamente nell’apposita aula». La differenza, dunque, la fanno gli insegnanti, a cui spetta il compito di diversificare le metodologie didattiche: «Non è utile considerare la tecnologia come una parte a sé rispetto al lavoro didattico – chiarisce Chiappa – tanto che, nella mia scuola, stavo pensando di eliminare le aule informatiche intese in questo senso. Preferisco una scuola digitalizzata nel suo insieme, senza chiudere la tecnologia in uno spazio. I ragazzi devono essere costantemente immersi nel digitale. Altrimenti scadiamo nel paradosso. Avremmo mai realizzato un’aula per le calcolatrici?»
Il deficit italiano e cremonese sull’alfabetizzazione digitale, dunque, andrebbe spiegato in altro modo che contando le risorse. «A mio parere – spiega Chiappa – il distacco che abbiamo rispetto ad altri Paesi europei va imputato a tutto il nostro contesto socio-culturale. Facciamo fatica ad accettare che la tecnologia faccia davvero parte della nostra vita. Ultimamente, il discorso è tanto più forte quando si parla di intelligenza artificiale. Alcuni docenti, però, non si sono lasciati intimidire, e si sono messi in gioco. Un esempio: se il docente affronta un testo poetico di carattere ironico o satirico, l’intelligenza artificiale non saprà coglierlo, ma gli alunni sì. Di fronte al commento errato della IA, i ragazzi risponderanno con sorpresa, facendo appello alla loro intelligenza emotiva e prendendo le distanze dall’analisi prodotta con l’Intelligenza Artificiale. Senza volerlo, per contrasto, abbiamo insegnato alla classe a cogliere l’ironia di un autore, e a saperla individuare».
La chiave per l’alfabetizzazione digitale, ribadisce Chiappa, sta nel proporre metodologie che trasformino gli strumenti in risorse spendibili. «Ogni volta che si apre la strada ad una possibilità diversa da quelle convenzionali, si genera una proposta che potrebbe essere più congeniale a una parte della classe. Siamo abituati a ragazzi che apprendono in modi molto diversi, sia dai nostri, sia tra loro».

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