L'ANALISI
14 Febbraio 2025 - 18:32
Giacomo Gipponi e Giovanna Fiammeni con la medaglia dello zio
GOMBITO - A ottant’anni dalla morte avvenuta in Germania, è stato e verrà ricordato il sacrificio del gombitese Mario Fiammeni. L’amministrazione comunale intende infatti rendergli omaggio il prossimo 4 novembre, assicurandogli i giusti onori, ma nel frattempo i nipoti Giacomo Gipponi e Giovanna Fiammeni sono stati ricevuti ieri in Prefettura a Cremona, dove il prefetto Antonio Giannelli ha consegnato loro la medaglia d’onore concessa ai deportati e agli internati nei lager nazisti. Per loro è stata l’occasione per ricordare la storia di Mario, nato proprio a Gombito il 23 aprile 1923 e tornato solo dopo la morte. Oggi riposa al cimitero, dove il corpo è stato traslato negli anni scorsi, e sulla lapide la fotografia in bianco e nero lo ritrae per sempre ragazzo.
Mario era figlio di Giacomo (combattente nelle guerre d’Africa di fine ’800 e nella Prima guerra mondiale) e di Agostina Zugni; fu terzo di cinque fratelli. A soli vent’anni, il primo giugno 1943, venne chiamato alle armi e assegnato alla Marina militare: in qualità di allievo cannoniere fu mandato presso il deposito Cerm di Pola, al tempo territorio italiano. Dopo l’8 settembre, unitamente ad altri marinai commilitoni, categoricamente e senza alcuna esitazione, rifiutò di consegnarsi ai tedeschi. Coraggio che lo portò a Trieste dove, caricato su carri bestiame, fu deportato in Germania, a Berlino, e assegnato al campo di lavoro di Dreidiunder con mansioni di sgombero delle macerie. A causa del faticoso e incessante lavoro, dell’alimentazione ridotta al lumicino e del freddo patito, fu anche ricoverato nell’ospedale da campo. Il 27 aprile 1945, a guerra ormai finita, trovò la morte a seguito di un colpo di fucile esploso alle sue spalle dai tedeschi: lo ammazzarono mentre stava cercando di scappare dal campo, con altri compagni gombitesi. Furono loro a seppellirlo pietosamente sotto a un albero vicino al campo stesso.
I particolari sugli ultimi anni della vita e sulla sua morte sono stati raccontati ai genitori di Mario dagli stessi gombitesi, riusciti a scappare e a tornare in Italia. La sua storia è desumibile anche dalle lettere che il giovane – sfidando la censura – riusciva ad inviare alla famiglia: «Ogni volta chiedeva dei fratelli, dato che cinque anni prima, all’età di 13 anni, era morta la sorella Rosalinda». Il carteggio oggi è gelosamente conservato dalla nipote Giovanna, che è stata promotrice del percorso che ha portato alla medaglia per lo zio. «Un giusto riconoscimento per uno dei tanti figli che in giovanissima età diedero alla patria il valore più sacro, quello della vita». E Gombito, con l’amministrazione comunale in testa, vorrà ricordarlo in modo ufficiale.
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