L'ANALISI
06 Febbraio 2025 - 05:30
CREMONA - L’interrogativo di partenza l’ha posto il circolo Arcipelago: «Da che parte stiamo andando?». Oltre la domanda larga, il fronte specifico: la sicurezza urbana, legata alla fruizione degli spazi pubblici. «Sentiamo ragionare di zone rosse, di Daspo, di città sorvegliata speciale – aveva lanciato il suo alert il direttivo del circolo – e ci riscopriamo distanti dalle scelte lessicali e politiche dell’amministrazione comunale e, in generale, dai toni che stanno caratterizzando il dibattito pubblico sul tema. In particolare, le misure illustrate, che sulla carta si pongono come orizzontali e uguali per tutti, nella realtà hanno premesse discriminatorie che fomentano stereotipi e marginalizzazione di alcuni gruppi sociali».
Una considerazione che secondo Arci striderebbe con le posizioni caratterizzanti la visione dell’amministrazione: «Siamo sicuri che avallare queste premesse non cozzi con le convinzioni e i principi che questa giunta dovrebbe portare avanti? Certamente non concorda con i nostri». Il motivo: «Ci sembrano misure incoerenti rispetto ai numerosi progetti che la giunta stessa porta avanti sul territorio da anni e rispetto alle idee proposte sul futuro della città come il progetto Giovani in Centro, che ripromette di creare spazi di socialità, solidarietà e inclusione».
Riassunto sintetico: senza negare le difficoltà sociali esistenti, i risvolti di una collettività complessa e spesso anche intrisa di sacche pericolose di quelle rabbia inespressa che di tanto in tanto esplode soprattutto nella sua parte più giovane, Arcipelago teme che la svolta securitaria che pare delinearsi — almeno nell’ottica del circolo — finisca con l’essere controproducente. Limitando gli spazi di aggregazione e socializzazione, di prossimità e accessibilità, persino della rappresentanza. Argomento sensibile. Sempre e adesso più che mai: perché l’accoltellamento dello scorso sabato, con un 28enne ferito da una baby gang, lo ripropone con forza; e perché la prospettiva del circolo Arcipelago, chiamando in causa la politica, merita una riflessione.
Non si sottrae, non a caso, il sindaco: risponde, Andrea Virgilio. Forte e chiaro. Perché capisce bene, e lo premette, che le considerazioni avanzate sono «importanti e degnissime, meritevoli di attenzione». Poi replica: con domande a domande. Accompagnate da esempi concreti. Gli esempi, prima: «Qualche settimana fa una signora mi ha scritto perché, attraversando un giardino pubblico, è stata insultata e minacciata da un gruppo che abitualmente si raduna lì, disturbando il quartiere con risse e schiamazzi. Poi il papà di un ragazzino, in un contesto periferico, ha chiesto aiuto perché suo figlio era bullizzato dai coetanei e non voleva uscire di casa».
Le domande, dopo: «Di fronte a situazioni come queste, come possiamo tutelare il sacrosanto diritto di vivere serenamente lo spazio pubblico? Come vogliamo intervenire su un gruppo di giovani affinché non aggredisca un ragazzino? E allo stesso tempo, come possiamo agire senza stigmatizzare chi occupa quegli spazi? Non abbiamo forse a che fare con una moltitudine di marginalità che richiedono azioni differenti?». Ha la sua idea, il primo cittadino. La declina partendo dalla vita reale e senza enfatizzare troppo, «perché in fondo la nostra è una città ancora capace di incrociare gli sguardi e ancora in grado di parlarsi», ma anche, con franchezza, senza «relegare la sicurezza a un tabù».
La certezza: «Proprio garantire spazi sicuri e vivibili è una condizione essenziale per proteggere i più fragili e coltivare il dialogo sociale. Questo obiettivo non si raggiunge con interventi episodici e con la narrazione dell’integrazione, ma con la fatica di tante azioni diverse». Eccole: «Il recupero materiale degli spazi, iniziative aggregative, eventi, mediazione sociale, forse anche momenti di conflitto con le istituzioni perché le istituzioni devono essere autorevoli e non possono fare passi indietro. Ma c’è un ambito altrettanto importante: la collaborazione con le forze dell’ordine e il controllo del territorio».
Non usa mezzi termini, Virgilio: «Uno spazio pubblico non può essere terreno di sopraffazione». E non importa l’età, l’origine o l’appartenenza sociale: «Nessuno deve sentirsi escluso o minacciato. Il nostro obiettivo, e condivido le parole del circolo Arcipelago, è rendere questi luoghi accoglienti e fruibili per tutti. E se facciamo nostra questa esigenza, bisogna riconoscere che, quando necessario, è legittimo ricorrere a strumenti di controllo e anche repressivi». Eccolo, il punto: l’ideale tracciato che marca la differenza.
«Il Daspo urbano è già previsto dal 2018 nei regolamenti comunali, ma non è stato mai applicato: la nostra amministrazione ha inserito nuovi spazi anche attraverso un lavoro di confronto con la cittadinanza e ritengo che questo strumento possa essere utile in determinate circostanze, se gestito con equilibrio e senza delegare ai Comuni competenze improprie. È fondamentale coordinare il lavoro della polizia locale con la prefettura e le forze dell’ordine per garantire una presenza efficace sul territorio e per affrontare tipologie diverse di reati nella nostra città». Tutto chiaro, binario doppio: azioni di ascolto, inclusione e aggregazione, da una parte; pressione e sorveglianza, se e quando serve, dall’altra.
Il linguaggio utilizzato, l’altra critica mossa dal circolo Arcipelago: ne riconosce l’importanza, il sindaco. E il valore politico. «Parole come sicurezza o controllo non devono essere appannaggio esclusivo di una certa retorica politica. Noi progressisti dobbiamo riappropriarci di questo vocabolario, affiancandogli anche altri registri e un ragionamenti fondati sulla cura, sui diritti, sul rispetto reciproco. A Cremona la situazione non è allarmante, ma le criticità esistono e richiedono attenzione. Ogni città ha i suoi punti di fragilità e il nostro compito è alimentare un tessuto comunitario capace di bilanciare le esigenze in campo». Diritti e doveri, regole e libertà.
Partendo da un pilastro solido: «Una città sicura non è una città chiusa, ma viva, dove tutti possano sentirsi parte di qualcosa di più grande». Rifiutando «con convinzione l’idea di una sicurezza muscolare, fatta di decreti vuoti, che generano nuove sanzioni e inasprimenti di pene». Il motivo: «Non mi appartiene, quella visione. È una soluzione apparente, più mediatica che concreta. Per questo sono convinto che la destra su questo abbia fallito, perché quelle leggi non hanno efficacia deterrente, non migliorano la giustizia, non rafforzano la presenza delle forze dell’ordine sul territorio e non affrontano i problemi strutturali come l’inefficienza dei tribunali o la precarietà delle nostre carceri».
E con una consapevolezza chiara: «Ciò di cui abbiamo bisogno è una sicurezza costruita dal basso, che nasca dalla fiducia reciproca e restituisca protezione a chi vive la città». È quella la sfida. Non la è solo per Cremona e richiama alla responsabilità: «È cruciale per il mondo progressista in generale — allarga il raggio della sue valutazioni, il primo cittadino —, spesso chiamato a confrontarsi con paure reali o percepite. Le preoccupazioni dei cittadini non possono essere ignorate. Questo è un tema essenziale per la sinistra, che ha il dovere di ascoltare quei mondi popolari che da anni fatica ad intercettare e ai quali, per diretta conseguenza, da altrettanto tempo non riesce a dare risposte concrete».
Chiude con una proposta, Virgilio: invito diretto al circolo Arcipelago. «Può farsi promotore di un momento di incontro fra i diversi attori della convivenza civile, coinvolgendo istituzioni e forze dell’ordine, ma anche educatori, insegnanti, associazioni, reti informali. Sarebbe molto stimolante mettere insieme i diversi registri per capirsi, discutere, muoverci in modo condiviso e coeso. Sarebbe un percorso importante, che vogliamo mettere in atto come amministrazione; ma sarebbe utile anche farlo attraverso l’attivazione dell’associazionismo, indirizzandolo a tutti coloro che accettano la sfida della complessità». Declinata anche sul fronte della sicurezza: qui e ora.
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