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L’ALLERTA DISAGIO GIOVANILE: L’ANALISI DEGLI SPECIALISTI

«Irrequieti e ansiosi, i mesi del lockdown come un detonatore»

Gli esperti: «Approccio psico-sanitario ed educativo per ritrovare un equilibrio»

Elisa Calamari

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redazioneweb@laprovinciacr.it

29 Gennaio 2025 - 05:20

«Irrequieti e ansiosi, i mesi del lockdown come un detonatore»

CREMONA - Ansia per il futuro, dipendenze da alcol o droga, ma anche uno stato di stress che ha subito un’escalation a partire dalla pandemia: all’origine dell’aggressività, che ha effetti sugli altri ma anche su se stessi, c’è un insieme di fattori che porta al disorientamento dei minori. E per fare loro ritrovare l’equilibrio è fondamentale sia l’approccio psico-sanitario sia quello educativo.

Roberto Poli, direttore del Dipartimento Salute mentale e delle dipendenze dell’Asst di Cremona, inquadra il problema confermando che tutti gli studi evidenziano un incremento dell’aggressività.

«La pandemia ha fatto in un certo senso da ‘detonatore’ e infatti uno degli studi più interessanti si intitola ‘Cicatrici da lockdown’ – spiega –. Rileviamo un incremento del malessere e del disagio giovanili che sfociano in ansia e depressioni, ma che portano anche a violenza verso gli altri e a forme di violenza su se stessi. In quest’ultimo capitolo rientrano suicidi, autolesionismo, disturbi del comportamento alimentare. Tutti fenomeni in aumento, purtroppo. Negli ultimi dieci anni, inoltre, sono raddoppiati gli accessi alla Neuropsichiatria infantile e sono cresciute le diagnosi relative ad alterazioni comportamentali».

Le dipendenze da alcol e sostanze stupefacenti giocano chiaramente un ruolo importante: «Portano ad ulteriore aggressività. Pensiamo ad esempio al cosiddetto binge drinking (tendenza a consumare numerosi drink in una sola serata, ndr) che è sempre più diffuso. Poi c’è la droga – spiega Poli –: le sostanze sono cambiate rispetto al passato e hanno marcati effetti psicoattivi, anche la cannabis è più potente, con un thc alto».

Claudia Fardani e Chiara Invernici, psicologhe cliniche che collaborano con la Neuropsichiatria infantile, confermano che all’origine di ansie e stress dei giovani possono esserci aggressività subite dai coetanei e insicurezze sul futuro.

«Ci si trova di fronte a un disorientamento che può essere causato anche dall’assenza di figure adulte di riferimento, di modelli positivi e autorevoli, di limiti o margini chiari – dicono le esperte –. Ecco perché spesso viene fornito un aiuto anche alla famiglia, affinché riesca a mediare e a contenere alcuni comportamenti fuori controllo».

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Si agisce così in due modi: con interventi specialistici mirati al ragazzo e con supporti alla genitorialità. «C’è un lavoro di rete, con la scuola e con gli altri servizi come ad esempio il Serd o il Consultorio – continuano le psicologhe –. Si punta molto, infine, sul lavoro specialistico in gruppo. Riconoscersi e confrontarsi con altri ha un valore spesso significativo, è un approccio che viene applicato sia ai giovani sia ai genitori. Se in ambito di devianze il gruppo rischia di trascinare in negativo, con questo metodo ad esso viene invece data una connotazione positiva: il gruppo diventa un sistema virtuoso di strategie e supporto, che affronta tematiche particolari con la mediazione degli operatori».

Un ruolo importante viene giocato dagli educatori e lo spiega Fabio Santini di Spazio per giovani, consultorio dell’Asst di Cremona che registra circa 120 nuovi accessi all’anno. «L’accesso può avvenire in autonomia, senza prescrizione medica, ed è gratuito – spiega –. Per il sostegno educativo non serve il consenso dei genitori, per quello psicologico fino ai 18 anni sì. Nel caso, aiutiamo i giovani a coinvolgere gli adulti. C’è un primo colloquio conoscitivo che fa da filtro, in tempi brevissimi, per arrivare a individuare il problema che è solitamente uno stato di ansia legato ad aspetti evolutivi. Poi nel percorso vengono coinvolti educatori, psicologici, assistenti sociali e assistenti sanitari. Noi non interveniamo su patologie, ma su disagi legati a difficoltà relazionali, familiari, scolastiche. Negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza dei ragazzi nel volere farsi aiutare e la complessità delle situazioni, non il numero di casi. C’è una buona percentuale di riuscita del percorso».

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