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IL FRONTE DELLA SICUREZZA

Telecamere e ‘decalogo’: i locali storcono il naso

Lupi (Fipe): «Il decreto grava sugli esercenti». E per i titolari il codice di condotta è superfluo

Francesco Gottardi

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fgottardi@cremonaonline.it

28 Gennaio 2025 - 10:58

Telecamere e ‘decalogo’: i  locali storcono il naso

CREMONA - Codice di condotta, illuminazione delle aree circostanti e videocamere all’interno dei locali. È questa la ricetta del decreto Piantedosi per i pubblici esercizi (bar e ristoranti in primis, ma anche discoteche, alberghi e locali). Una normativa che dovrà essere «declinata in accordi a livello provinciale, stipulati dai prefetti con le associazioni di categoria, ai quali possono aderire i singoli esercenti» ma che già fa storcere il naso a quelle stesse categorie che dovrebbero applicarla. 

lupi

«Siamo ancora in una fase iniziale – spiega Alessandro Lupi (nella foto qui a fianco) presidente di Fipe Confcommercio –. Confido che le prescrizioni verranno modificate: così come sono state presentate rischierebbero solo di andare a gravare ulteriormente sui titolari delle attività. I gestori di bar, discoteche e ristoranti si impegnano ogni giorno per denunciare le situazioni di insicurezza alle forze dell’ordine. Che ora, in nome della corresponsabilità, si chieda di installare a spese dei locali sistemi di videosorveglianza e illuminazione esterna sembra un modo per coprire i buchi delle forze dell’ordine a spese nostre». E le ‘linee guida per la prevenzione degli atti illegali e di situazioni di pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica all'interno e nelle immediate vicinanze degli esercizi pubblici’ non piacciono nemmeno ai titolari cremonesi: a pesare non sono solo i costi che verrebbero imposti ma anche il principio alla base del decreto.

Per Mario Feraboli, dell’antica osteria del Fico, è «assurdo che si voglia scaricare su locali privati spese e energie per la tutela dell’ordine pubblico o di quel che il ministro intende per ‘sicurezza’».

Sulle telecamere, ad esempio, il fronte dei critici è ampio: «Nei locali, fino a prova contraria, le persone dovrebbero veder tutelata la propria privacy», dichiara Feraboli, cui si affianca il parere di Giacinto Mancuso, al bancone del bar Fiume: «Le telecamere chi le paga? Ma, soprattutto: a cosa servono? Piuttosto che trasformare ogni bar in quello che non è bisognerebbe fare in modo che, quando si presentano situazioni critiche, l’intervento delle forze dell’ordine sia tempestivo. Noi titolari, d’altronde, non possiamo fare altro: non siamo sceriffi e non chiediamo il casellario giudiziario all’ingresso, possiamo solo segnalare quando una situazione degenera».

Il decreto prevede anche che, all’interno dei locali pubblici, venga esposto un «codice di condotta contenente una serie di misure tese a qualificare ‘l'avventore modello’». Dall’impegno a non introdurre armi o sostanze stupefacenti, fino a quello di non abbandonare rifiuti nelle vicinanze del locale o disturbare la quiete pubblica, il documento dipinge i locali come ritrovi di soggetti potenzialmente pericolosi: «Ma non posso certo negare un caffè a un cliente – dice Jessica, del bar Cosmopolitan – sulla base di un sospetto o seguire chiunque in bagno per accertarmi che non abbia stupefacenti con sé. Non si capisce come queste prescrizioni dovrebbero incidere sulla sicurezza».

Anche nelle trattorie cittadine il provvedimento viene giudicato superfluo: «Mio padre – spiega Simone Bocelli della Piccola — è qui da 46 anni, non abbiamo mai avuto telecamere e avremo chiamato i carabinieri sì e no 3 volte. Ci prendiamo cura del nostro plateatico ma quando i problemi si verificano, come nel nostro caso, dall’altra parte della strada cosa dovremmo fare oltre a segnalare?».

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