L'ANALISI
23 Gennaio 2025 - 17:18
CREMONA - Nell’ambito del progetto di Educazione Civica ‘Libertà va cercando’, avviato già da anni al Liceo Scientifico Aselli e supervisionato dalla professoressa Stefania Digiuni, alcune classi quarte (4A e 4C LIC, 4B e 4D LSA), nei giorni scorsi, si sono recate in visita alla casa circondariale di Ca’ del Ferro.
«Quello del carcere - si legge nella nota diffusa nelle scorse ore dall’ufficio stampa del liceo - è un ‘mondo sommerso’, uno di quei mondi che la nostra società tende a dimenticare: la vulnerabilità di questo luogo – di chi vi abita e di chi vi lavora – è sicuramente lontana da una civiltà, quale la nostra, in cui la logica dell’utile e della produttività schiaccia i più fragili. Divenire cittadini consapevoli significa, però, prima di tutto, accantonare i pregiudizi e mostrarsi aperti a un percorso di conoscenza e di sensibilizzazione, che il progetto ‘Libertà va cercando’ promuove in relazione alla realtà carceraria odierna.
Dopo alcune lezioni preparatorie, sviluppate anche grazie al contributo di don Roberto Musa, cappellano della casa circondariale di Cremona, la visita al carcere, sotto la guida dello stesso don Musa, ha avuto così lo scopo di offrire ai ragazzi un’esperienza di contatto e dialogo diretto con i detenuti. Proprio nel luogo in cui il carcere mostra una delle ‘migliori’ parti di sé, la sala del teatro, con le sue pareti dipinte a tinte vivaci dai detenuti stessi, i nostri studenti delle classi quarte hanno incontrato, divisi a gruppi, alcuni carcerati che stanno scontando la loro pena. Alcune parole chiave, quali ‘responsabilità’, ‘tempo’, ‘famiglia’, ‘speranza’, su cui gli studenti avevano riflettuto in classe, hanno costituito il fil rouge dell’incontro. Sollecitati da queste parole, oltre che da domande poste dagli studenti, i detenuti si sono raccontati, tra aperture e reticenze: hanno parlato delle problematiche con cui quotidianamente devono convivere, dal sovraffollamento alla difficile convivenza con i compagni di cella, dalla solitudine alla sospensione del tempo, dalle difficoltà comunicative di chi non parla la nostra lingua agli stati depressivi che alcuni di loro hanno attraversato. Ma hanno anche rivelato quanto il percorso rieducativo a cui stanno partecipando stia dando loro la forza per combattere e per sperare in un futuro fuori dalle mura carcerarie. La dimensione rieducativa, e non esclusivamente punitiva della pena, così come previsto dall’articolo 27 della nostra Costituzione, è così riuscita a strappare i detenuti incontrati dal circolo vizioso di una reclusione che sarebbe altrimenti solo fine a se stessa.
Certo, chi è stato ‘selezionato’ per incontrare gli studenti ha mostrato la volontà di ridefinire la propria vita – cosa che non a tutti evidentemente accade, visto l’alto tasso di recidività che caratterizza le carceri italiane. La predisposizione al cambiamento passa attraverso il coinvolgimento dei detenuti in attività manuali, ma anche, e soprattutto, attraverso lo studio: più volte gli studenti sono stati spronati a completare il loro percorso di studi, a coltivare passioni e relazioni sane. Moniti inaspettati per i nostri ragazzi, che hanno ritrovato nelle parole dei carcerati una dignità e un senso di umanità che si pensava a loro estraneo». A chiusura dell’incontro, le interessanti testimonianze di chi lavora in carcere: un agente della polizia penitenziaria, che ha sottolineato il tentativo di costruire un rapporto equilibrato con i carcerati, basato su una convivenza il più possibile rispettosa, e due educatori, che hanno evidenziato la difficoltà e la delicatezza della loro professione.
«L’esperienza in carcere – commenta uno studente – è stata una delle più significative, a livello umano, che io abbia mai vissuto». Ha permesso di ritrovare, nell’inferno reale e immaginato del mondo carcerario, «chi e che cosa […] non è inferno», per citare le parole di Italo Calvino.
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