L'ANALISI
14 Gennaio 2025 - 05:10
CREMONA - «La comunità patrimoniale del saper fare tradizionale liutario cremonese è formata in primo luogo dalla comunità dei liutai, che con il loro lavoro, quotidianamente, mantengono vivo il patrimonio immateriale tutelato dall’Unesco. Il metodo costruttivo, trasmesso dal XVI secolo, utilizzato da liutai contemporanei, si è evoluto per esigenze musicali dalle origini a oggi, ma ha mantenuto inalterato l’utilizzo della forma interna. La tradizione costruttiva antica, così come quella contemporanea, si basa sull’utilizzo di materiali specifici e prevede la stagionatura naturale del legno e l’utilizzo di colle e vernici naturali.»
È bastata questa dichiarazione nell’addendum del Piano di Salvaguardia del Saper fare liutario cremonese dell’Unesco per far tornare indietro di almeno mezzo secolo il mondo della liuteria, negli anni Settanta quando la diatriba era fra forma interna, usata dai grandi maestri liutai cremonesi e la forma esterna di scuola francese. Ai due metodi corrispondevano i due fondatori della liuteria contemporanea: Francesco Bissolotti per la forma interna e Gio Batta Morassi per quella esterna.
È il figlio di Bissolotti, Marco Vinicio, che osserva: «Nessuna scoperta, lo abbiamo sempre saputo – dice -. Basta andare al Museo del Violino e vedere i cimeli di Stradivari. La scuola classica cremonese parte dalla forma interna e se bisogna definire una prassi costruttiva della tradizione cremonese non si può che partire da lì. Ora è scritto nero su bianco».
Nelle parole del figlio di Bissolotti non c’è alcuna volontà di accendere la polemica, ma di «fare chiarezza storica – afferma -. In quegli anni chi usava la forma interna si è sentito messo ai margini, ad andare per la maggiore era la forma esterna, che altro non fu che l’escamotage d’oltralpe per copiare i modelli cremonesi e della tradizione classica. Oggi entrambi i metodi hanno cittadinanza in bottega, la Cna comunque ha sempre sostenuto l’uso della forma interna. Usare la forma esterna non mette in dubbio l’artigianalità dello strumento, è semplicemente un modo di costruire che non si può considerare legato alla lezione dei grandi maestri cremonesi. Ora i problemi sono altri e riguardano l’accesso alla professione, la contraffazione, il mercato dei violini in bianco poi spacciati come artigianali. Non dobbiamo dividerci su una questione che risale a mezzo secolo fa e che ora ha trovato una sua definizione, ma fare fronte comune per difendere l’artigianalità dei nostri violini».
Alessandra Pedota osserva: «Io ho imparato a fare violini da Bissolotti, usando il metodo della forma interna – spiega -. La definizione delle modalità costruttive della scuola cremonese oggi, grazie alla comunità di liutai e all’Unesco, ha trovato una propria definizione condivisa. Non credo sia il caso di dividerci ancora su questo argomento. Anche perché legare la forma interna a Bissolotti e al maestro Morassi quella esterna rischia di strumentalizzare le figure dei due maestri, cui dobbiamo la rinascita della liuteria contemporanea con stili e modalità diverse. Non è giusto riaccendere le polemiche, credo che il lavoro dell’Unesco e del piano di salvaguardia aiuti a fare chiarezza, a indicare qual è il metodo cremonese, ma non deve giocare contro l’importanza di figure come Bissolotti e Morassi nella storia novecentesca della nostra liuteria. Ora abbiamo la consapevolezza di una prassi, ma oggi, nel XXI secolo e nel mercato globale in cui informazioni e saperi corrono, l’importante è tutelare l’artigianalità del nostro lavoro, tenere alta la qualità dei nostri del nostro saper fare per combattere la contraffazione e coloro che spacciano violini seriali come strumenti made in Cremona. Per questo la comunità dei liutai deve essere quanto mai unita».
«Dopo 40 anni oggi si riconoscono le ragioni stilistiche, culturali e di creatività artigianale della forma interna. Che sia l’Unesco a farlo è meritorio e molto importante, anche se ora da difendere è soprattutto l’artigianalità del lavoro contro l’abusivismo e i violini di fabbrica spacciati per manufatti artigianali made in Cremona. Difendere il valore e la serietà del lavoro artigiano è sempre più urgente — afferma Wanna Zambelli, la prima liutaia italiana —. C’è in giro gente che arriva ormai a sostenere che non vi è differenza fra un violino fatto a mano e un violino fatto a macchina, tanto i musicisti non se ne accorgono! Non ho nulla contro le fabbriche di violini (servono anche violinetti per studenti), ma non difendere Cremona contro chi la vorrebbe trasformare in modo strisciante in una sorta di fabbrica seriale lo trovo criminale».
Orgogliosa della tradizione cremonese, Zambelli continua così: «Cremona ha nel mondo una grande tradizione liutaria classica e non la può umiliare con una produzione moderna di strumenti fatti in serie grazie all’assemblaggio di semilavorati industriali. Fra qualche anno il problema lo risolverà l’intelligenza artificiale: avremo violini ‘perfetti’ senza bisogno del liutaio, della sua sensibilità, della sua creatività, della sua cultura, della sua capacità di sentire e capire il legno, sempre diverso per provenienza, stagionatura e mille altre variabili. Cremona, a mio avviso, deve fare ogni sforzo per fermare questa deriva, per fermare la distruzione dell’artigianato liutario. In città ci sono ottimi liutai seri che costruiscono ottimi strumenti, non possiamo permettere che venga infangato, nell'immaginario collettivo, il loro lavoro».
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