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IL NODI DEL LAVORO

La classifica dei portafogli: crescono i salari del privato

I dati dell’annata 2023 segnano un positivo +2,8% e posizionano Cremona al ventunesimo posto. I sindacati: «Rilanciare la contrattazione territoriale»

Stefano Sagrestano

Email:

stefano.sagrestano@gmail.com

23 Dicembre 2024 - 05:30

La classifica dei portafogli: crescono i salari del privato

CREMONA - Il 21° posto in Italia, con una retribuzione media mensile per i lavori dipendenti privati pari a 1.903 euro, cresciuta del 2,8% nell’ultimo anno. Il report della Cgia di Mestre assegna questa posizione a Cremona e al suo territorio. I dati sono relativi all’annata 2023, in confronto con il 2022, e tengono conto degli stipendi lordi. Sono numeri che confermano quanto era già stato evidenziato da un’analisi simile prodotta di recente da Il Sole 24 ore, che inseriva Cremona e provincia al 20° posto, con una retribuzione media annuale di 20.065 euro e un’inflazione sostanzialmente stabile nel 2023 (+0,2%).

Se si restringe il campo a livello regionale, la graduatoria della Cgia di Mestre colloca la provincia al settimo posto, dietro l’irraggiungibile Milano, prima in Italia e poi Monza, Lecco, Bergamo, Varese e Lodi. Lo sguardo d’insieme che fornisce il report evidenzia importanti differenze retributive tra i lavoratori dipendenti privati del nord e i colleghi del sud: «Se i primi percepiscono una busta paga di circa 2mila euro lordi al mese, quella dei secondi, invece, sfiora i 1.350 – scrivono dalla Cgia – In buona sostanza nel settentrione si guadagna mediamente quasi il 50 per cento in più; pari, in termini monetari, a +8.450 euro lordi all’anno. Per questo mese di dicembre, ovviamente, lo spread riguarda anche la tredicesima mensilità che viene pagata proprio in questi giorni.

salari

E sebbene le gabbie salariali siano state abolite nel 1972, oltre 50 anni di applicazione dei Contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) non ha mitigato le marcate differenze retributive tra le regioni italiane, anche se l’obbiettivo, in linea di massima, è stato raggiunto solo a livello intra-settoriale». Le disuguaglianze salariali molto marcate sono legate a diverse ragioni:

  • Il caro-vita e la produttività che sono nettamente superiori al nord rispetto al sud
  • Il fatto che i valori retributivi medi sono condizionati negativamente dalla presenza dei contratti a termine (part time involontario, stagionali, intermittenti), che gravitano in particolare nel Mezzogiorno
  • La concentrazione delle multinazionali, dei grandi gruppi industriali e degli istituti di credito/finanziari/assicurativi che, rispetto alle Pmi, erogano stipendi più pesanti, ma non sono distribuiti uniformemente lungo tutto lo Stivale. La presenza di queste realtà, infatti, si raccoglie, in particolar modo, nelle grandi aree urbane del nord.

Secondo l’ufficio studi della Cgia, nonostante le importanti differenze salariali italiane che si riscontrano a livello geografico, «grazie a un preponderante ricorso alla contrattazione centralizzata, ci sono differenziali intra-settoriali più contenuti rispetto agli altri Paesi europei. Per contro, la scarsa diffusione in Italia della contrattazione decentrata non consente ai salari reali di rimanere agganciati all’andamento dell’inflazione, al costo delle abitazioni. Un gap retributivo medio importante rispetto agli altri Paesi, che patiscono soprattutto i lavoratori del nord».

«RILANCIARE LA CONTRATTAZIONE TERRITORIALE»

Bene il dato medio cremonese, ma per i sindacati restano diverse ombre sulla situazione dei lavoratori dipendenti del territorio. «Cremona può e deve essere un laboratorio per nuove soluzioni, attraverso il rafforzamento della contrattazione territoriale e il rilancio della bilateralità, strumenti che possono garantire maggiore stabilità e inclusione — sottolinea Ivan Zaffanelli, segretario generale della Cisl Asse del Po —: un dato che desta preoccupazione è il saldo negativo tra attivazioni e cessazioni contrattuali (-1.664 unità), che fotografa un mercato del lavoro in rallentamento occupazionali: questo fenomeno colpisce equamente uomini e donne, anche se i giovani mostrano un saldo positivo, un segnale di speranza per le nuove generazioni».

Poi il tema della precarietà contrattuale: «Oltre il 64% delle nuove attivazioni riguarda contratti a tempo determinato. Questo dato evidenzia una crescente insicurezza economica per i lavoratori e pone interrogativi sul futuro delle famiglie e della coesione sociale. Al contempo, le imprese lamentano difficoltà crescenti nel reperire competenze adeguate, con più della metà delle posizioni vacanti difficili da coprire. È fondamentale investire nella formazione e nella riqualificazione, per colmare il divario tra le esigenze delle imprese e le competenze dei lavoratori».

Dello stesso avviso il segretario della Uil Germano Denti che guarda con scetticismo a dati settoriali, spesso presentanti fuori dal contesto generale del mondo del lavoro: «Il dato è sterile e non fa riferimento a una realtà fatta di buste paga fasulle, lavoro precario e retribuzione in nero. Il tema è complesso e andrebbe approfondito nel merito non solo con i numeri».

Per Elena Curci, segretario generale della Cigl, «la crescita dei salari è il frutto dei rinnovi contrattuali nazionali, grazie anche alla contrattazione di secondo livello. Non dobbiamo però dimenticare un dato che pesa, dovuto al mancato rinnovo dei contratti: nel 2024 risultano in vigore 46 contratti nazionali che riguardano 6,2 milioni dei dipendenti, ma restano da rinnovare i 29 contratti che riguardano 6,9 milioni di lavoratori, più i 3,5 milioni di lavoratori pubblici. Se parliamo del rinnovo del contratti pubblici dobbiamo evidenziare che di fronte a un’inflazione del 17% il governo indica un aumento al 6% significa in questo caso sancire una perdita strutturale non più recuperabile, cioè una riduzione programmata ulteriore del potere d’acquisto dei salari».

Non aiuta il divario nord sud del Paese. «Lo studio conferma quanto continuiamo a sostenere da tempo – conclude Curci –: c’è un’ Italia a due velocità. C’è poi da considerare che il lavoro irregolare, molto diffuso soprattutto nel Mezzogiorno, da sempre provoca un abbassamento dei salari contrattualizzati dei settori che tradizionalmente sono investiti da questa piaga sociale».

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