L'ANALISI
16 Dicembre 2024 - 05:25
CREMONA - «Quando dopo il Covid abbiamo presentato Arlecchino muto per spavento ci hanno presi per matti – racconta il regista Marco Zoppello di Stivalaccio Teatro -. E invece stiamo per raggiungere le cento repliche e se consideriamo che la vita media di uno spettacolo supera a fatica le venti, la dice lunga. Mentre tutti facevano monologhi per timore e per precauzione, noi abbiamo portato in scena nove attori e tre tecnici. E siamo ripartiti dalla Commedia dell’Arte».
Dopo tante, troppe distrazioni, domani alle 20.30 al Ponchielli andrà in scena il primo spettacolo di prosa del cartellone - Arlecchino muto per spavento, appunto -, un lavoro che merita attenzione, un modo per sciacquar i panni in Arno e fare, di nuovo, i conti con il linguaggio del teatro, come spiega il regista: «Abbiamo voluto affrontare la Commedia dell’Arte e non solo e non tanto perché apparteniamo al territorio veneto – dice -. La Commedia dell’Arte è oggetto di studio da parte degli storici del teatro, oppure è materia per filodrammatiche. Questi sono gli estremi che da qualche decennio sembrano condannare la Commedia dell’Arte. Ecco, il nostro sforzo è quello di affrontare la Commedia all’improvviso togliendo un poco di polvere, ma al tempo stesso, cercando di non scadere nel cabaret, in una forzata e forzosa attualizzazione per forza».
Appartenenza territoriale e sguardo al linguaggio internazionale della Commedia dell’Arte coesistono in Arlecchino muto per spavento che parte dalla pièce Il muto per spavento come osserva Zoppello: «Questa è la genesi del canovaccio che abbiamo fatto nostro. Dopo circa quindici anni di esilio forzato, i Comici Italiani tornano finalmente ad essere protagonisti del teatro parigino e lo fanno con una compagnia di tutto rispetto. Luigi Riccoboni in arte Lelio, capocomico della troupe, si circonda dei migliori interpreti dello stivale tra cui, per la prima volta in Francia, l’Arlecchino vicentino Tommaso Vicentini (nomen omen), pronto a sostituire lo scomparso e amato Evaristo Gherardi».
«Tuttavia il Vicentini non parlava la lingua francese - prosegue -, deficit imperdonabile per il pubblico della capitale. Ed è qui che emerge il genio di Riccoboni nell’inventare un originale canovaccio dove il servo bergamasco diviene muto... per spavento! – spiega -. Ciò fornisce l’idea di chi fossero i comici, di quanto mestiere ci fosse nel loro calcare il palcoscenico, capaci di far fronte agli imprevisti. Il nostro divertimento e speriamo anche quello del pubblico sta nel recuperare un genere che vive nel qui ed ora della scena, che si nutre dello scambio col pubblico, ma sempre nel rispetto dei linguaggi della scena. E poi la maschera, l’indossarla è l’infanzia del teatro, rappresenta il segno di quel gioco a fingere di essere altro da sé».
Questo è il teatro, una finzione che profuma di verità inattese. Stivalaccio Teatro fa del recupero della Commedia dell’Arte una sua cifra estetica, così come del suo essere compagnia un progetto politico, ovvero di un gruppo teatrale che vanta un suo repertorio e che scavalca le montagne: «Proprio in questi giorni siamo in prova per riallestire l’Arlecchino, alle le prove ha assistito anche il mio bimbo di 6 mesi, un po’ malaticcio per questo a casa dal nido – racconta -. Gli attori si sono messi a dialogare con lui, a giocare e improvvisare in base alle sue reazioni, questo è il teatro: un dialogo inatteso e costruito nel qui ed ora».
«Per questo il nostro essere compagnia tiene conto del pubblico, della necessità che impone la natura vagante di una compagnia, anche se ora siamo diventati ministeriali. Avere fondi pubblici è importante, ma non snatura il nostro lavoro che vive di teatro. Da qui la necessità di tenere in repertorio, di mantenere il nostro Don Chisciotte del 2013, Romeo e Giulietta che ha debuttato nel 2015, ma anche pensare ai giovani. È con questo intento che abbiamo allestito La mandragola di Machiavelli, per la regia di Michele Mori con una compagnia interamente composta da giovani attori che vive a latere del gruppo storico. Ciò nel segno della grande tradizione del capocomicato italiano. L’idea è quella di rinnovare una tradizione che non muore».
Ed è questo aspetto che lega tradizione e il presente della scena che rende curioso Arlecchino muto per spavento, un omaggio alle origini del teatro, alla grande tradizione dei comici italiani, vere star nei secoli XVII e XVIII secolo e motivo di ispirazione – nel XX secolo – per le grandi avanguardie storiche. Ciò che propone il cartellone di prosa del Ponchielli è una bella immersione nei linguaggi della scena, il che certo non guasta. Non esserci sarebbe davvero un peccato.
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