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STORIE DI LIUTERIA CREMONESE

«Nella bottega a Boston e Cremona fra le mani»

Coppiardi in città dopo 26 anni negli Stati Uniti a restaurare i capolavori di Stradivari e Amati

Nicola Arrigoni

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narrigoni@laprovinciacr.it

08 Dicembre 2024 - 05:15

«Nella bottega a Boston  e Cremona fra le mani»

CREMONA - «Uscire di bottega e andare al mercato, o incontrare gli amici, è impagabile. Come è impagabile sapere che qui puoi contare su una comunità di liutai unica al mondo». Non ha dubbi Marco Coppiardi, liutaio cremonese, con una bellissima bottega in corso Mazzini, rientrato in città, dopo ventisei anni passati a Boston.

Cremonese, classe 1967, diplomatosi alla scuola di liuteria: «Ho poi lavorato per qualche tempo con Giorgio Scolari, Gio Batta Morassi, Francesco Bissolotti — racconta —. Poi la vittoria nel 1990 di un premio negli Usa è stato il primo contatto col mondo della liuteria d’oltre oceano. Avevo voglia di vedere il mondo. Nel 1992 ho cominciato a lavorare presso la Johnson String Instrument, una delle realtà più grande del New England e mi sono occupato di restauri di strumenti antichi. Ciò mi ha permesso di venire a contatto con i grandi violini della scuola cremonese e non solo — spiega —. I miei colleghi si chiedevano perché fossi andato via da Cremona. Alcuni hanno pensato che la risposta fosse che forse c’erano troppi liutai, in realtà era una scelta dettata dalla volontà di conoscere altri mondi».

L’esperienza presso la Johnson String Instrument ha permesso al maestro Coppiardi di venire a contatto con grandi musicisti e strumenti eccezionali, «ad un certo punto ho deciso di aprire una mia bottega nel 1997 e mi sono fermato a Boston per ventisei anni — racconta —. Ma il primo Stradivari da autonomo l’ho avuto in mano dopo tre anni. Facendo restauro mi sono specializzato anche nel realizzare copie di strumenti. Non è raro infatti che grandi musicisti chiedano una copia del loro strumento antico, per utilizzarlo durante le prove o per le lezioni. Ho avuto per le mani lo Stradivari Davidov di Yo-Yo Ma, il Guarneri del Gesù di Roman Totenberg, solo per fare due nomi».

E al di là del restauro ad essere imparagonabile è il mercato: «Solo a Boston ci sono quattro conservatori — spiega —. Nelle scuole di un certo livello si insegna musica e dunque il bisogno di strumenti è inimmaginabile per una realtà come quella italiana e dirò di più europea, dove lo studio della musica è una questione legata al talento e vocazione».

tac

Tecnologia e saper fare vanno di pari passo, nella carriera di Coppiardi: «Ho imparato a utilizzare le strumentazioni messe al servizio del restauro dalla tecnica — spiega —. In tempi non sospetti ho lavorato con la tac per avere il quadro diagnostico di strumenti di scuola cremonese. Di un violino Guarneri del Gesù riuscimmo a vedere dov’erano le uova depositate dai tarli nel legno. Ho imparato a lavorare utilizzando calchi di gesso o realizzando modelli con la stampante 3D. Il lavoro di liutaio rimane ben saldo nelle mani dell’artigiano, ma oggi può avvalersi di strumenti che un tempo non c’erano. Per questo studiare e restaurare violini di tre secoli fa è un’esperienza incredibile perché ti trovi a confronto con manufatti perfetti e realizzati con accorgimenti lontani da quelli odierni».

Tutto ciò nel racconto del maestro Coppiardi assume il sapore della novità, ma anche del grande rispetto della grande tradizione cremonese che afferma: «L’esperienza a Boston mi ha permesso di capire tanto della liuteria e di apprezzare ancora di più l’unicità della città da cui provenivo - spiega —. Ad un certo punto io e mia moglie che è di origine polacca abbiamo deciso di rischiare e tornare in Europa, e allora mi è parso naturale rientrare a casa, prima a Milano, ma poi sono stato bloccato dalla pandemia e oggi a Cremona — spiega —. Dopo ventisei anni lontano da casa ho potuto constatare come la nostra liuteria sia ancora considerata un valore, lo siano la scuola come il Museo del Violino. Non c’è altro posto al mondo un cui coesistono tanti liutai e in cui poter condividere esperienze e conoscenze che arrivano da ogni parte del mondo. Per tutelare questa nostra unicità dobbiamo mantenere alta la qualità che ha caratterizzato chi ci ha preceduto e che ha fatto degli strumenti musicali un capolavoro».

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