L'ANALISI
27 Novembre 2024 - 05:20
CREMONA - «È un’esperienza nella quale dai tanto, ma allo stesso tempo ricevi tantissimo». Teodolinda Beduschi, studentessa cremonese di medicina all’Università Vita-Salute San Raffaele, è stata volontaria la scorsa estate per quasi un mese a Zanzibar, in Africa. Ospitata da Sister Island, Ong che ha costruito nel villaggio di Nungwi due scuole e accoglie al suo interno centinaia di bambini, Teodolinda si è data da fare soprattutto nella scuola primaria.
«Tutti i volontari, circa una ventina — racconta —, venivano suddivisi nelle varie attività. Io ho aiutato nella scuola elementare. Mi prendevo cura principalmente di un bambino che soffriva di autismo e di un’altra bambina. Mi sono occupata poi anche di effettuare delle medicazioni. Là c’è una situazione di igiene molto diversa dalla nostra: i ragazzi, per esempio, girano a piedi nudi nelle scuole e talvolta c’è stato bisogno quindi di porre bendaggi, spurgare ferite…».
L’attività di volontariato non si è limitata però ‘solo’ a questo: «Abbiamo fatto anche delle distribuzioni alimentari in villaggi vicini, poverissimi. Donavamo loro cibo, come riso, fagioli, farina e vestiti. Le persone qui vivono in case piccolissime, cadenti, ma erano contentissime di farcele vedere e di farci entrare. Di loro mi ha colpito l’amore che ti danno. C’è un senso di fratellanza che non avevo mai visto prima d’ora, che letteralmente ti travolge». Teodolinda spiega da dove è nata l’idea di partire per Zanzibar: «Ho sempre desiderato fare un’esperienza di volontariato. Era una cosa che mi sentivo dentro: dovevo farla per me stessa e per capire che cosa ci fosse al di fuori del nostro mondo. E poi ovviamente per aiutare, letteralmente far qualcosa nel mio piccolo che però potesse essere utile per qualcun altro».
Un’esperienza da consigliare vivamente: «Ti arricchisce tantissimo. Quello che ricevi, alla fine, è molto più di quello che riesci a dare. Una volta tornata, mi sono sentita cambiata, in meglio ovviamente. Vedo le cose in modo diverso rispetto a prima». Si dice che il mal d’Africa sia quella sensazione di nostalgia di chi ha visitato questo Continente e desidera tornarci. «L’ho avvertita anche io. Però vorrei precisare che, per come l’ho vissuta io, il mal d’Africa non è legato solamente ai bellissimi tramonti o al magnifico spettacolo della natura incontaminata. È l’energia positiva delle persone. Nonostante le poche possibilità, sono felici, ti sorridono. Un’energia che qua, invece, purtroppo oramai si vede sempre di meno».
La ragazza ha già le idee ben chiare in mente per il suo prossimo futuro: «Tornerò sicuramente in Africa. Mi piacerebbe farlo in veste di medico, magari durante la specializzazione, mettendo in pratica ciò che ho studiato in Paesi dove c’è la necessità più assoluta». Una fotografia che ti porti dietro da Zanzibar? «Tantissime. C’è stato però un momento che mi ha colpito in maniera particolare e nel quale non sono riuscita a trattenere le lacrime. Quando in una scuola di un villaggio vicino al nostro, un bambino stava sempre accanto a un suo coetaneo cieco. Non lo lasciava mai un momento solo. Questo sempre per il senso di fratellanza che dicevo».
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