L'ANALISI
PENSIERI LIBERI
26 Novembre 2024 - 05:30
Cosa vuoi fare da grande? O, citando lo scrittore e docente Alessandro D’Avenia, che cosa vuoi fare di grande? Penso a questo gioco di parole, così efficace, mentre leggo che sono oltre settantamila gli studenti e le studentesse delle scuole superiori che hanno scelto di tentare il test per la facoltà di Medicina quest’anno. Numeri che raccontano quanto il camice bianco sia ancora nell’orizzonte vocazionale delle nuove generazioni (e delle loro famiglie), nonostante le notizie che si leggono sui giornali: dalle aggressioni in Pronto Soccorso, agli scioperi e alla mancanza dei medici di base sul territorio. La vocazione resta: è cambiata l’attrattività di alcune specialità. Che cosa possiamo fare per valorizzare e rendere noti la bellezza e il valore di tante specializzazioni mediche, alcune magari meno note di altre?
Da quando mi occupo di comunicazione in Humanitas ho cullato il sogno di raccontare in prima persona le storie vocazionali dei medici con cui ho l’onore di lavorare. Per riattraversare la ‘barricata’ e recuperare l’anima giornalistica che pulsa ancora e mi fa scoprire storie incredibili nei momenti più impensati della giornata. Ogni volta, mi stupisco delle gesta e della passione che respiro parlando con i camici bianchi dell’ospedale.
Medici, infermieri, ricercatori, tecnici: ne sono circondato, a volte spiritualmente sopraffatto per il bene e il buono che vedo intorno a me. Grandezze e debolezze comprese. Comunque persone che lavorano per curare altri esseri umani e salvare vite.
Da qualche mese ne parliamo con ‘Nel segno della cura’, il video podcast (o ‘vodcast’ come mi insegnano i miei giovanissimi colleghi) di Humanitas, visibile nel canale Youtube dell’ospedale, che racconta le storie in camice per ispirare i medici del futuro. Un format, curato dal collega Gianmarco Monterosso, che mi auguro possa essere utile alle nuove generazioni, perché permette di creare attrattiva negli studenti, così che i più recettivi tra loro possano avvicinarsi alle diverse specializzazioni ispirati dai racconti e dalle esperienze, allontanando i timori e lasciando spazio alle proprie vocazioni professionali oltre che all’intuito e alla passione.
Ho iniziato questo format intervistando Paolo Spada, chirurgo vascolare. Persona straordinaria, che da medico curante è diventato paziente, e che purtroppo ci ha lasciato dopo una lunga malattia. Sono orgoglioso di aver potuto raccogliere la sua testimonianza. Nel corso della puntata, Paolo ci ha raccontato a viso aperto la sua missione. Le sue parole, distillate con lucida pacatezza, mi hanno fatto venire la pelle d’oca: «La missione della cura ci fa entrare in contatto ogni giorno con tante persone nel loro momento peggiore. Non stanno andando ad acquistare una macchina, ma a curarsi. La comunicazione, nei confronti di chi sta male o di un suo familiare, è fondamentale: anche una parola di conforto può svoltare la giornata di un’altra persona». Queste parole mi portano a fare una riflessione: come nasce una vocazione? Gli elementi sono tanti e affondano le radici nella storia personale e formativa di ogni futuro medico.
Sicuramente il ruolo della famiglia è fondamentale, come ci ha raccontato in un’altra puntata Guido Torzilli, direttore del dipartimento di Chirurgia Generale e responsabile di Chirurgia Epatobiliare e Generale: «I miei genitori mi hanno sempre dato l’esempio di essere persone molto disponibili per il prossimo. Anche se da bambino sognavo di fare il pilota perché inizialmente avevo paura del sangue, identificai nel ruolo del medico qualcosa che mi potesse aiutare a crescere con gli altri, essere importante per gli altri, aiutare le persone e fare qualcosa di estremamente sfidante, cioè curare le persone. Il ‘click’ principale con la chirurgia è avvenuto grazie al mio professore di anatomia, che durante l’esame mi disse che sarei dovuto diventare chirurgo. Fu così convincente che colsi la sfida, e ancora oggi lo ringrazio perché è stata la persona più importante nel mio percorso professionale».
A volte anche un episodio dal passato può convincere a intraprendere una carriera medica, come è accaduto ad Alessandro Repici, direttore del dipartimento di Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva in Humanitas: «Non ho mai pensato di poter fare un mestiere diverso da quello del medico. Mio padre ha iniziato a stare male quando eravamo piccoli, ed è venuto a mancare quando avevo 15 anni. Mi sono preso cura di lui negli ultimi anni di vita affiancando mia madre nelle continue visite al Pronto Soccorso».
Anche Piero Volpi, responsabile di Ortopedia del Ginocchio e Traumatologia dello Sport di Humanitas, è stato sempre assecondato nella sua passione per la medicina e per lo sport, che l’ha portato a una straordinaria carriera prima come giocatore di calcio in serie A, poi in ospedale come chirurgo ortopedico e a bordo campo come responsabile dello staff sanitario dell’Inter. Durante l’intervista mi ha raccontato: «(…) avevo fatto un patto con la mia famiglia, mi permettevano di giocare a calcio, ma in cambio avrei dovuto ottenere ottimi risultati nello studio. Una condizione comune a tutta la mia generazione, una grande fortuna che mi ha portato a vivere due vite parallele con ottimi risultati a livello professionale e sportivo».
Nella scelta di studiare medicina, spesso interviene una figura di mentore: un professionista, donna o uomo, che ha dato prova di amare così tanto il proprio lavoro da creare un desiderio di imitazione in chi lo ha incontrato. È una persona di famiglia o un esperto brillante consultato per risolvere un problema. Un esempio che è rimasto fisso nella mente fino a convincere la persona a volerlo seguire, come ha confermato anche Guido Torzilli: nel corso dell’intervista ci ha raccontato di aver vissuto una lunga esperienza in Giappone con un grande mentore da cui ha imparato e ‘assorbito’ tanto. Quella del medico è una professione che si fa in squadra, come ci raccontava Paolo Spada: «Se hai in mente di farti curare da un solo medico, sei più timoroso rispetto ad affidarti a un team di persone, perché la squadra fa fronte comune nel risolvere il problema di un paziente, ogni scelta è ragionata in un gruppo multidisciplinare che raccoglie l’esperienza di più persone».
Come ci conferma anche il professor Volpi: «Dall’interazione tra diversi operatori si possono ottenere tanti benefici. Si possono apprendere competenze nuove, che accrescono il valore del proprio lavoro sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista umano e personale. Si attivano processi virtuosi, che oltre a risolvere con maggiore efficacia i problemi di salute possono contribuire a rendere l’atmosfera dei contesti medici e sanitari più accogliente, serena e positiva, funzionale a uno stato di benessere che non è solo del paziente ma di tutti». Ci sono molti giovani che hanno timore e tendono a rinunciare a diventare medico per tutte le difficoltà che questo tipo di professione può comportare. Non sono qui per insegnare nulla, ma da questi grandi medici abbiamo tanto da imparare. Voglio concludere con una frase di Spada, che è un consiglio di vita per tutti: «(…) non bloccarsi, cercare di vincere i momenti di sconforto e superarli. Buttarsi e osare, affrontare le proprie paure superando i limiti. Il mio consiglio per iniziare è fare il volontario in ambulanza, è un’opportunità unica per acquisire competenze sanitarie, aiutare il prossimo e fare nuove amicizie».
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