L'ANALISI
21 Novembre 2024 - 05:25
CREMA - Ha suscitato scalpore la notizia dell’aggressione di un calciatore 15enne dell’Oratorio Chieve, domenica mattina a Casaletto Ceredano, nel finale della partita di calcio del campionato Allievi Under 17 contro il San Carlo. Dopo la rete che aveva permesso al Chieve di accorciare le distanze, da una palla contesa tra il portiere che voleva ritardare la ripresa del gioco e un giocatore che la voleva accelerare, è nata una rissa, che ha coinvolto altri atleti.
Nel parapiglia, a farne le spese è stato Mohammed Chamech del Chieve, finito al Pronto soccorso. Per lui, tre punti di sutura sotto l’occhio sinistro, un dente scheggiato e sette giorni di prognosi. Il ragazzo, insieme al padre Nourezzine, ha presentato martedì mattina denuncia ai carabinieri di quanto accaduto. «Dove stiamo andando a finire?», è stato il commento di Massimiliano Aschedamini, presidente del Panathlon club Crema, realtà che porta avanti i valori del fair play. «È sempre qualcosa di deprecabile e di incredibile quando questi fatti accadono, ma se li rapportiamo a una partita di calcio tra quindicenni, diventa pazzesco. C’è una rabbia che cova dentro a questi minori, sempre più giovani, che poi esplode per motivi futili, sfociando nella violenza. Una partita di pallone che si trasforma quasi in una battaglia sarebbe deprecabile, anche se si trattasse della finale di Champions League. Se rapportata alla pochezza del livello dell’incontro in questione diventa oltre che ingiustificabile anche incomprensibile. Le partite di queste categorie si fanno per divertirsi».
Il presidente del Panathlon allarga il discorso a un ambito non sportivo: «Questo episodio si inserisce in un contesto di violenza giovanile preoccupante; ci sono comportamenti senza senso. Mi auguro che le società prendano provvedimenti, perché certe reazioni sono indifendibili, soprattutto su un campo da calcio. Pensare di potersi fare giustizia da soli è inaccettabile. Lo sport deve unire, come predica la nostra associazione, non dividere».
Chi ha l’esatto termometro di una situazione che si surriscalda sempre di più è Massimo Carini, presidente del comitato cittadino del Csi, una realtà che conta 9.800 tesserati. «Di cui la metà minorenni — precisa — molti dei quali non hanno più alcun rispetto verso qualsiasi tipo di autorità. Ho visto ragazzi insultare le forze dell’ordine e più sono giovani e peggio si comportano. C’è un atteggiamento diffuso di assoluta mancanza di rispetto delle regole». Quella di Carini non è soltanto una sensazione. Sono affermazioni che si basano su dati oggettivi: «Ogni settimana — prosegue il presidente del Csi — il nostro giudice sportivo deve comminare squalifiche pesanti per fatti che accadono durante le partite. In particolare in quelle giovanili. Spesso vengono sanzionati anche i dirigenti, che sono gli adulti che dovrebbero dare l’esempio e educare. Fortunatamente ci sono le eccezioni, ma i comportamenti censurabili sono in aumento».
Non aiuta nemmeno il fatto che buona parte dell’attività del Csi venga svolta negli impianti degli oratori. «Ormai di preti non ce ne sono più; ci sono i laici. E i ragazzi hanno comportamenti e un linguaggio tale che spesso devono essere allontanati». Carini prova a dare una spiegazione a un fenomeno che rischia di dilagare. «Certi comportamenti si sono acutizzati in maniera esponenziale. Alla base c’è anche un disagio sociale, una serie di frustrazioni che si sfogano in una partita di calcio, quando invece si dovrebbe pensare solo a divertirsi». Se a volte manca il buon esempio dei dirigenti, più spesso a mancare è quello dei genitori. «Se è sempre più difficile educare i ragazzi — prosegue il presidente — è perché non c’è chi lo fa. I genitori che si vedono attorno ai campi da calcio, spesso sono peggio dei figli. Sono la massima rappresentazione della frustrazione sfogata sui figli. Non li correggono quando sbagliano; preferiscono difenderli a spada tratta, perché così fanno meno fatica. C’è un disagio complessivo che dopo il Covid sembra esploso».
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