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LE STORIE DI GIGIO

Medico in Tanzania: «Una lezione di vita»

Arianna Barbieri, specializzanda in Medicina interna: «Tocco con mano la povertà»

Gilberto Bazoli

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redazione@laprovinciacr.it

11 Novembre 2024 - 05:25

Medico in Tanzania: «Una lezione di vita»

A sinistra, Arianna Barbieri con un paziente e altri due medici

CREMONA -  Per arrivare dal suo villaggio ha dovuto camminare per due ore. «Era lì, nel suo lettino, esausto eppure sorridente. Mi ha fatto una tenerezza infinita». Quel ragazzino si chiama Faragy ed è uno dei pazienti di Arianna Barbieri, trentenne cremonese, specializzanda al quarto anno di Medicina interna all’Università di Verona, che ha scelto di continuare gli studi in Tanzania, dov’è sbarcata il 16 settembre. Per lei, dopo quasi due mesi, è tempo dei primi bilanci. «È una sfida che mi sta dando tanto dal punto di vista professionale e anche umano».


Arianna ha già diversi lavori alle spalle. «Sono stata alla clinica La Pace, poi nelle case di riposo di Castelverde e di Casalbuttano. Nel periodo difficile del Covid». Aveva da sempre l’idea di mettersi in gioco facendo qualcosa di diverso, sul campo. «Non mi sentivo però abbastanza pronta». Ma ha poi saputo del Cuamm, la onlus padovana, e del progetto Jpo (Junior project officer) che permette agli specializzandi di vivere un’esperienza in Africa riconosciuta nel loro percorso formativo di giovani medici. E ha deciso di partire.

Pazienti in fila in attesa di essere visitate

«La motivazione, lo spirito che mi anima è aiutare in modo tangibile gli altri e mettermi alla prova». Il suo ospedale è a Tosamaganga, al centro della Tanzania, dove il Cuamm è presente dal 1968. Situato in un’area rurale, il nosocomio riesce a garantire servizi pediatrici e parti sicuri per migliaia di mamme, ma anche prevenzione e trattamento della malnutrizione infantile e cure contro la malaria, la tubercolosi, l’Hiv, le malattie croniche.


«Gli inizi non sono stati facili, ma adesso le cose si sono aggiustate», dice al telefono, alla fine della giornata in reparto, Arianna. «Siamo in 9 specializzandi, tutte donne. Ci sono anche due studenti neo laureati e, da poche settimane, un ginecologo, Alberto Rigolli, cremonese pure lui, che da tempo collabora con il Cuamm. Il mio tutor è qui da un anno. Siamo un bel gruppo. Sono alloggiata, camera da letto singola e sala da pranzo comune, in una struttura di fronte all’ospedale».

Arianna Barbieri, a sinistra, durante una visita

Durante la settimana si reca con i suoi colleghi negli ambulatori sparsi per la regione. «Il più lontano per noi che abbiamo la jeep si trova a due ore e cinque per la gente del posto». Uno dei primi ostacoli che ha dovuto superare è stata la lingua. «Qui si parla lo swahili. Abbiamo seguito un corso per impararlo un po’». Lei, medico internista, si occupa soprattutto di patologie come l’ipertensione. «In generale, c’è un tasso di mortalità assurdo. Si muore per malattie che da noi sono curabili senza particolari difficoltà. Se si ha un infarto, il centro attrezzato è molto distante. Spesso troppo per trasportare e salvare il paziente».

Un’altra piaga è l’Aids. «Nella zona in cui operiamo ne è affetto oltre il 7 per cento della popolazione. Come mai? Le persone non hanno metodi contraccettivi, non fanno lo screening, non sanno di aver contratto il virus e se lo passano. Mi ero preparata ad affrontare situazioni del genere, ma un conto è parlarne, un altro ritrovarsi dentro».


Quella realtà Arianna la tocca con mano ogni giorno. «Per la carenza di strumenti diagnostici si possono fare pochissimi esami di laboratorio, sono pochi anche i farmaci. Avevamo una Tac nuova che però si è rotta, non c’è neanche quella. E così bisogna ingegnarsi». I problemi quotidiani sono aggravati dalla particolare natura della sanità locale. «È privata, gestita dalla Diocesi. Per molti abitanti, in prevalenza contadini analfabeti, le spese sono troppo onerose a fronte della necessità di una terapia. Con la conseguenza, ad esempio, che i giovani con il diabete, non potendosi permettere le cure, rischiano di perdere l’uso delle gambe o diventare ciechi. La nostra associazione colma questa lacuna economica non sostenibile a lungo andare. Allo stesso tempo bisogna riconoscere che, pur fragile, il sistema sanitario della Tanzania sta migliorando. In altre parti dell’Africa la situazione è peggiore».

L’ospedale del Cuamm a Tosamaganga, al centro della Tanzania

Accanto all’aspetto lavorativo, c’è quello relazionale. «Questo è un popolo meraviglioso. Si presentano in ospedale alle 6 del mattino, si mettono in coda, aspettano per ore il loro turno in silenzio, ti ringraziano e se ne vanno sorridenti. Avevo un po’ di paura, il discorso del bianco che arriva eccetera, eccetera... in realtà, non esiste nessun problema del genere. Queste persone possiedono un’altra caratteristica innata che apprezzo molto: la grande importanza data al saluto, un loro saluto dura cinque minuti, hanno 25 modi di salutare. Sembra una cosa stupida, ma questa loro particolarità, così diversa dal nostro freddo buongiorno, mi colpisce perché sgorga dal cuore».


La giovane dottoressa cremonese resterà in Africa sino a marzo, per una permanenza complessiva di 6 mesi. «Un momento sono giù di morale, un altro su. Sono convinta della mia scelta anche se a volte provo nostalgia di casa, degli affetti. Sto anche apprendendo cose nuove sulle malattie tropicali, ma la vera lezione è un’altra: svegliarsi, scuotersi, dare il meglio che si può con il poco che si ha. Mi ridimensiona un sacco vedere con i miei occhi la povertà e la negazione del diritto all’accesso di servizi primari come la sanità. Mi ritengo fortunata ad essere nata nella parte giusta del mondo».

E Faragy, il ragazzino che soffre di diabete acuto arrivato dal villaggio dopo due ore di cammino solitario? «È stato dimesso. Essendo finito il budget, stiamo pensando a una colletta per pagargli le cure. Senza il ricovero sarebbe morto. Invece ha imparato a farsi l’insulina, dovrà bucarsi ogni giorno più volte al giorno per tutta la vita. Ma è salvo».

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