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LE CIFRE E LE NUOVE ABITUDINI

Non ci sono più i bar di una volta

Cambiano le abitudini e anche gli orari, specie di chiusura. In molte zone c’è un calo dei locali, ma la provincia ‘resiste’

Elisa Calamari

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redazioneweb@laprovinciacr.it

08 Novembre 2024 - 05:20

Non ci sono più i bar di una volta

CREMONA - Sono rifugio e ristoro, medicina anti solitudine e luogo di confronto: i bar, soprattutto quelli di provincia, restano uno degli ultimi baluardi contro l’isolamento dei territori di campagna e spesso uno dei primi ‘caregiver’ per gli anziani. Ma anche nelle città hanno un ruolo cruciale, quello di unire ed evitare dispersione. Eppure dal 2012 al 2023 in Lombardia abbiamo registrato una loro riduzione del 13% circa: un calo costante e progressivo, che però nel Cremonese è meno evidente rispetto ad altri territori. Se non addirittura controcorrente.

CREMONA REGGE

Nel 2018 la Camera di commercio contava 926 imprese di questo tipo registrate, nel 2023 erano 939 e nel terzo trimestre di quest’anno risultavano 929: dieci in meno in un anno ma tre in più rispetto a sei anni fa. Il dato però è parzialmente falsato, perché quelle regolarmente attive sono ora 796. Osservando le oscillazioni degli ultimi anni, risulta evidente che le riduzioni sono state più marcate nel periodo della pandemia: sei imprese in meno dal 2020 al 2021, ad esempio, ma anche un calo consistente degli addetti. Nel Cremonese, infatti, erano 2.380 nel 2020 e sono diventati 2.239 nel 2021. Attualmente gli addetti del settore bar sono invece risaliti: 2.387.

I LOCALI STRANIERI

L’aspetto curioso è che mentre diminuiscono i bar di proprietà di imprenditori italiani (dai 771 del 2023 ai 759 attuali) crescono quelli di proprietà di imprenditori stranieri: due in più dal 2023 al terzo trimestre 2024, vale a dire attualmente 170 di cui però solo 157 attivi. Facendo un focus proprio sulle attività straniere, scopriamo che alla fine dell’anno scorso in provincia di Cremona ce n’erano 33 da ricondurre a stranieri comunitari e 121 a stranieri extra comunitari. In quest’ultimo caso, almeno all’apparenza, sembra che a farla da padroni siano i cittadini di origine cinese. Nel terzo trimestre di quest’anno sono diminuiti di una unità i bar con imprenditori stranieri comunitari (ora sono 32) mentre sono aumentati di tre (ora sono 125) quelli di cittadini extra comunitari. I bar stranieri danno attualmente lavoro a 332 persone, mentre quelli italiani a 1.981.

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ISCRIZIONI E CESSAZIONI

Nel 2023 sono stati 77 i bar della provincia che hanno chiuso i battenti, anche se i numeri complessivi confermano che la maggior parte di essi sono stati ceduti ad altri imprenditori. Di questi, ben 58 i bar italiani che hanno tolto o cambiato l’insegna. Le cessazioni di imprese straniere sono state invece 19, contro sette nuove iscrizioni. Nei primi nove mesi del 2024, invece, sono stati 33 i bar italiani chiusi (a fronte di 17 nuove iscrizioni alla Camera di commercio) e 14 le chiusure straniere (a fronte di 10 nuove iscrizioni).

LO STUDIO SULLE IMPRESE

Più in generale, secondo uno studio recente pubblicato dalla Cgia di Mestre, tra il 2013 e il 2023 in tutta Italia si è assistito ad un calo di imprenditori italiani. In tutti i settori. Per quanto riguarda Cremona viene indicato un incremento degli stranieri di 550 unità e un calo degli italiani di 4.748. Pochissime (e tra l’altro tutte al Sud) le province dove invece il numero degli imprenditori italiani è aumentato più di quello degli stranieri: Palermo, Vibo Valentia, Nuoro, Siracusa, Messina, Cosenza, Catania.

«I COSTI DI GESTIONE SONO UN BEL PROBLEMA»
Franzosi, ex titolare del Bar Sport di Costa: anche il boom degli stranieri ormai sta calando

Si sente spesso dire «Non ci sono più i bar di una volta», ma è davvero così? Lo abbiamo chiesto ad un esperto del settore, Beppe Franzosi che fino a qualche tempo fa era titolare del mitico Bar Sport di Costa Sant’Abramo: «Innanzitutto è cambiata la mentalità e di conseguenza c’è raramente la figura dell’oste di una volta che in pratica vive dentro al locale – spiega –. Se non c’è nessun cliente, negli orari di metà pomeriggio o la sera, si tira giù la saracinesca. C’è anche da dire che spesso gli affitti sono altissimi e per coprirli servirebbe incassare almeno 500-600 euro al giorno. Ma in un piccolo paese come si fa? Se non si abbina all’attività di bar quella di trattoria o di tabacchi è molto difficile. Le macchinette slot vengono spesso demonizzate, ma ci si deve rendere conto che anche quelle per i gestori sono un modo per tirare avanti».

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Secondo Franzosi, soprattutto nei piccoli centri con poche migliaia di abitanti, se non addirittura centinaia, il bar è a tutti gli effetti un servizio: «Anche per questo io ho chiesto un affitto basso ai nuovi gestori. Perché l’epoca dell’osteria dove si gioca a carte fino a tardi sta finendo e sono pochi i paesi in cui sono rimaste, si fa appunto un servizio. Quando parliamo di paesi a pochi chilometri dalla città è più facile spostarsi, pensiamo ai giovani che vanno a fare l’aperitivo in centro a Cremona. Se iniziamo a trovarci a 15 chilometri o più, invece, è più facile che le compagnie e gli anziani restino nel bar di paese». Secondo Franzosi anche il boom dei bar stranieri, cinesi in primis, sta andando ad esaurirsi: «Dopo la pandemia hanno capito anche loro che il guadagno rischia di essere minimo, non ci si arricchisce di certo gestendo un bar». E allora inevitabile chiedergli se è un lavoro che consiglierebbe ai giovani: «Se lo fanno solo per il fattore economico, forse è meglio di no – è l’amara constatazione di Franzosi –. Se c’è la passione e la voglia di mettersi in gioco davvero, allora può darsi».

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