L'ANALISI
29 Ottobre 2024 - 20:56
Nel riquadro l'avvocato Paolo Rossi
CREMONA - Al suo avvocato che questa mattina è andato in carcere a trovarlo, ha detto di essere «molto provato» Marco Viti, il 48enne arrestato ieri per l’omicidio di Paolo Gamba, il 44enne che da due giorni gli aveva dato ospitalità nella sua casa al civico 8/a della palazzina Aler, in piazza dei Patrioti, nel quartiere di Borgo Loreto. Nell’abitazione Viti lo ha ucciso nel primo pomeriggio con quattro coltellate durante una colluttazione. Un omicidio con il movente ancora da decifrare.
Una coltellata se l’è presa anche Viti, all’addome. Medicato al Pronto soccorso, alle 21 di ieri, in Procura, nell’ufficio del pm, Francesco Messina, l’uomo si era avvalso della facoltà di non rispondere. Dalla Procura era stato portato in carcere. Qui di poche parole è stato oggi con il suo avvocato Paolo Rossi, che verso le 11 lo ha incontrato. Non più di dieci minuti di colloquio, perché Viti, malato e in terapia, «era molto stanco, faticava a parlare, dopo dieci minuti non ce la faceva più». Il difensore ha provato a farsi raccontare che cosa sia accaduto nell’appartamento al piano ammezzato, due giorni fa, a ricomporre i tasselli del lunedì pomeriggio di sangue a Borgo Loreto. «Ma Viti non si ricorda, è offuscato». Nei dieci muniti di colloquio, si è ricordato solo che lui e Gamba — i due si conoscevano sin da bambini — «urlavano, che lui si è preso una coltellata all’addome e di aver perso sangue».
Le indagini della Squadra mobile diretta dal commissario capo Giulia Cristina, e coordinate dal pm Messina, stanno andando avanti. Sul movente dell’accoltellamento sfociato nell’omicidio, un’ipotesi investigativa potrebbero essere i problemi legati alla, seppur breve, convivenza nella casa di Gamba. L’avvocato Rossi lo ha chiesto a Viti, ma «non si ricorda». Probabilmente giovedì si terrà l’interrogatorio di garanzia davanti al gip. Intanto, il legale sta recuperando il carteggio clinico del 48enne, perché «a mio giudizio, il regime carcerario è incompatibile con le gravi condizioni di salute». L’avvocato Rossi quasi non riconosceva l’uomo che aveva davanti. «Per tantissimi anni ha praticato la boxe ed era un bravo boxeur. Aveva il fisico gonfio di muscoli. Adesso, sembra uno ‘stecchino’. Aveva anche un occhio pesto e dei graffi».
Un passato da tossicomane e spacciatore, le pagine di precedenti di Viti consegnano il ritratto di un uomo violento, ben noto alle forze dell’ordine. Conosciuto al quartiere Zaist, una vita dentro e fuori di galera, in carcere il 48enne era rientrato ad aprile di un anno fa «per scontare un cumulo di pene tutte per resistenza a pubblico ufficiale», ha proseguito il difensore. Una decina di giorni prima dell’omicidio, Viti era uscito da Ca’ del Ferro. Lo avevano ospitato alcuni familiari, ma con uno di loro si era messo a litigare. In casa non lo volevano più. Lui se ne è andato e ha trovato chi gli ha teso una mano: Gamba, l’amico che conosceva sin da bambino. E che con la droga non ci ha mai avuto a che fare. Con l’alcol sì.
Quattordici anni fa, allora 30enne e incensurato, sotto l’effetto dell’alcol Gamba «perse la testa»: entrò in un bar pasticceria in via Nino Bixio, quartiere Zaist, minacciò la titolare, poi se la prese con i poliziotti. Ne mandò due al Pronto soccorso (cinque giorni di prognosi). Gamba fu portato davanti al giudice. In aula fece «mea culpa», chiese pubblicamente scusa a tutti: titolare del bar e poliziotti. Se lo ricorda l’avvocato Cesare Grazioli, il suo difensore di allora. Quel giorno, il giudice apprezzò le scuse di Gamba, perché, lo disse pubblicamente, «non mi è mai capitato che un imputato riconoscesse le proprie responsabilità».
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