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‘I mondi carta’, adrenalina e grandi imprese con lo scalatore Confortola

L'alpinista con 13 ottomila metri scalati è stato ospite alla rassegna che ha chiuso la sua dodicesima edizione

Stefano Sagrestano

Email:

stefano.sagrestano@gmail.com

13 Ottobre 2024 - 19:55

‘I mondi carta’, adrenalina e grandi imprese con lo scalatore Confortola

Il pubblico in sala Pietro da Cemmo, nel riquadro l'alpinista Marco Confortola

CREMA - Marco Confortola alpinista con 13 ottomila metri scalati, due anni fa sulla conquista dell’ultima cima sorsero dubbi per mancanza di documentazione, è stato ospite alla rassegna 'I mondi di carta', che ha chiuso la sua dodicesima edizione. Il forfait del direttore di Gente Umberto Brindani, bloccato da un malanno di stagione, ha portato a prolungare l’incontro con l’alpinista di Valfurva sino alle 19 di oggi. Ad intervistare Confortola Rachele Donati de Conti, davanti a una sala Da Cemmo gremita e con gente in piedi.

In apertura subito adrenalina a mille e atmosfera da grandi imprese, grazie al video con le immagini delle scalate alle vette himalayane, raccontate anche nel libro dell’alpinista, intitolato 'Oltre la cima'. «Avevo sei anni quando ho cominciato ad arrampicare. Per me la montagna è sempre stato un modo per vivere la vita secondo la mia passione. Ho fatto 13 dei 14 ottomila del mondo, ho fatto cose pazzesche, ma nell’impegno estremo di questa disciplina ho sempre saputo fermarmi. Mai dimenticare che si deve tornare a casa. La voglia di conoscere e di confrontarsi con i grandi giganti del mondo è quello che mi ha spinto al mio limite. Mi manca ancora un ottomila, dopo 20 anni che inseguo il mio obiettivo di completarli. Lo vedo lì davanti, lo voglio raggiungere».

La grande forza di Confortola è stata anche quella di ricostruirsi una carriera. «Dopo l’amputazione delle dita dei piedi (tutte e 10, per un terribile congelamento in quota, Ndr) ci ho messo un anno per riprendere a camminare. Mi avevano detto basta ottomila, sono tornato a correre e ne ho fatti altri cinque». La sua determinazione lo ha sempre aiutato.

«Far fatica non mi è mai pesato, le difficoltà maggiori di una spedizione sono burocratiche e logistiche, poi la preparazione delle attrezzature che va fatta in maniera molto meticolosa. Ti devi anche affidare a trasportatori e agenzie sicure. E i pakistani, nel trekking che ti porta al campo base, ogni volta si fermano a metà percorso. Anche se li hai già pagati vogliono l'aumento. Già raggiungere il campo base è un'avventura. Senza dimenticare le difficoltà dell'acclimatamento». Poi c'è l’importanza del team, anche se l’alpinista, quando oltrepassa la cosiddetta zona della morte (oltre i 7.600 metri), è sempre solo. «Se aiuti un altro in difficoltà sai che il rischio è di non tornare in due».

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